Nobel: l'Europa assente alla premiazione

Alla premiazione del Nobel per la pace c’erano delle assenze molto piu’ pesanti che quella del premiato. C’era un silenzio assordante e vile da parte delle democrazie europee, che con la loro assenza hanno di fatto avallato la dura repressione cinese sui diritti umani. E’ stata scritta una triste e vergognosa pagina per la lotta dei diritti fondamentali che ogni cittadino di questo mondo dovrebbe avere. Non andare a presenziare la premiazione del Nobel per la pace pare cancellare anni di discorsi e battaglie che il vecchio continente con la sua storia e le sue istituzioni ha portato avanti. Alla prova dei fatti e’ sembrato un castello di carta che e’ crollato alla prima minaccia economica. Mai come ora, in un momento economico cosi’ difficile, il gesto di andare contro alla superpotenza economica Cinese avrebbe avuto un significato particolare; invece aldila’ delle poche frasi di circostanza le istituzioni tutte del vecchio continente hanno preferito il silenzio complice alla manifestazione di solidarieta’ chiara e trasparente, unico sostegno tangibile per tutti quelli che lottano per le liberta’ fondamentali. Non sembra casuale che solo Obama, pressato dalle rivelazioni interessate di Wikileaks, che sembrano sempre di piu’ un disegno contro la sua amministrazione, ci abbia messo la faccia; la sua battaglia sara’ anche economica ma di fatto e’ l’unico che ha garantito l’appoggio alla battaglia dei diritti umani, alla fine il risultato e’ quello che conta. L’Europa, con il suo silenzio (che pare assenso) avra’ guadagnato qualche prebenda, ma mai come in questo caso il danno di immagine e credibilita’ che consegue all’atto sara’ una perdita difficilmente quantificabile in termini di credito morale. Cosa vuole dire avere taciuto? Il sistema cinese cocktail micidiale tra comunismo e capitalismo senza regole, le regole del libero mercato senza freni praticate in un contesto politico senza i contrappesi legislativi di garanzia, sembra il sogno di ogni capitano d’industria, e’ un sistema oltre ogni ideologia e’ soltanto puro sfruttamento che usa sopire le coscienze con il consumismo piu’ sfrenato. Non appoggiare fattivamente il Nobel per la pace significa incrementare l’erosione progressiva delle liberta’, che ora diamo per scontate, ma in un triste domani potrebbero non essere piu’ tali. Ancora una volta dobbiamo guardare all’America con speranza, ed e’ quasi un ossimoro: il paese capitalista per eccellenza che lotta contro un paese ancora piu’ capitalista.

Ancora su Wikileaks

Lo stillicidio di informazioni che Wikileaks sta rilasciando genera più di un sospetto, quale può essere il motivo di questa parsimonia di notizie, quali le intenzioni di mettere in circolo informazioni se non già risapute perlomeno intuite? Nel caso italiano, ad esempio, i dossier erano costituiti da articoli di giornale rilevati secondo le percezioni e le intenzioni dell’addetto di ambasciata che compilava i fascicoli. L’attesa generata induceva ad aspettarsi rivelazioni su trame e colpi di stato, invece ci troviamo a notizie buone per la stampa, che contrabbanda come colpi di scena. Se dal punto di vista del corretto comportamento, della prassi diplomatica  si possono ammettere comportamenti non consoni, che in quest’ottica generano corrette reprimende, ma la pratica non detta dell’azione diplomatica  prevede per ogni cancelleria, ambasciata e consolato niente di meno che quello che wikileaks fa passare come rivelazioni sconvolgenti. L’ultimo file che ha generato dure reazioni è quello degli obiettivi sensibili messi sotto sorveglianza dagli USA in territorio straniero senza, però avvisare i governi competenti per territorialità. E’ chiaro che la pratica non è ortodossa, e le reazioni sono giuste e comprensibili, ma se si guarda alla  realtà delle cose il lavoro sottotraccia è uso comune nell’azione dei governi. Resta il fatto che gli USA, oltre a non fidarsi dei propri alleati più stretti, si pensi al caso della Gran Bretagna, continua a perseguire la missione che si è autoaffidata di gendarme del mondo, è probabile che ciò sia un retaggio della vecchia amministrazione Bush, peraltro non toccata dai file di Wikileaks, se non di striscio, che Obama non è ancora riuscito a correggere. L’accanimento di Assange contro il governo Obama e la segretaria di stato Clinton appare più di una spia, con l’arresto del capo di Wikileaks si spera venga fatta maggiore chiarezza sugli scopi dell’organizzazione dell’australiano.

Le banche nel mirino di Wikileaks

La crisi finanziaria attuale ha tra i maggiori responsabili il settore bancario; la massa di prestiti immessi nel sistema varia da quattro volte il pil dell’Irlanda in crisi alle cinque volte della più solida Gran Bretagna. La situazione economica non pare in via di rapida risoluzione, non basta la locomotiva tedesca a trainare un sistema in difficoltà generale e purtroppo alcuni esperti come Strauss Kahn prevedono una nuova crisi finanziaria che riguarderà principalmente le banche. La grande esposizione bancaria potrebbe creare l’accartocciamento del sistema e generare una crisi a cascata che coinvolgerebbe, dopo le banche, tutti i settori produttivi a causa del blocco del credito. E’ una visione catastrofica, che contempla se non un blocco totale, una paralisi del sistema economico a livello mondiale. In questo scenario futuribile, ma purtroppo possibile, si innesta la strategia di Wikileaks, che non a caso, minaccia nuove rivelazioni  proprio sul sistema bancario. Il tempismo perfetto suscita più di un sospetto sulla volontà destabilizzatrice dell’australiano. Dopo le minacce e le attese per i primi file, rivelatesi poi poco più di una bolla di sapone non appaiono credibili le intenzioni di Assange come novello Robin Hood, eroe disinteressato contro il sistema; minacce come le sue, anche se infondate, possono provocare durante l’attesa dei documenti pesanti passivi borsistici, a chi conviene in questo momento una speculazione del genere? Una volta per risollevare l’economia si diceva che occorreva ricorrere alla guerra, ora questo non basta più per smaltire il surplus di produzione e peraltro è praticamente impossibile, per fortuna,  praticare azioni militari di eserciti regolari sui territori dei paesi ricchi, che al massimo patiscono azioni terroristiche; l’opzione  militare è ancora utilizzata per i paesi poveri. Le possibilità della tecnologia consentono operazioni più fini che non lo spargimento di sangue, chi sta dietro a Wikileaks pare più interessato a praticare il dissesto politico e finanziario, la guerra reale a certe latitudini non è più conveniente, più redditizio è spostare informazioni con la conseguenza di permettere determinate azioni convenienti a determinate lobby piuttosto che ad altre, siamo in un quadro ancora troppo oscuro per chi sta fuori ma le prossime vicende dovrebbero alzare la nebbia almeno un poco.

La Cina alle corde per il Nobel

L’irritazione della Cina continua a salire per il caso del Nobel per la pace. Dichiarazioni ufficiali di Pechino, provenienti dal portavoce del ministero degli esteri, parlano della difficoltà oggettiva di mantenere rapporti amichevoli con la Norvegia, proprio per l’attribuzione del prestigioso, e mediatico, premio al dissidente Liu Xiaobo, attualmente condannato ad undici anni di prigione. Inoltre sono stati sospesi i negoziati per il libero scambio tra i due paesi, ufficialmente per consultazioni interne in seno al governo cinese. La Norvegia tira dritto per la sua strada, malgrado l’assenza certa di Lui Xiaobo, il comitato per l’assegnazione del premio Nobel ha confermato la premiazione per la data prevista: il 10 dicembre. I casi del genere nella storia del premio sono stati pochi, anche perchè in assenza del premiato c’era chi ne ha fatto le veci. Per la Cina la cassa di risonanza mediatica con ripercussioni negative sarà impressionante, Pechino si aspetta di essere sulla bocca di tutti i paesi più importanti e  delle organizzazioni internazionali, che daranno sicuramente la loro condanna al comportamento cinese. Non sarà un buon biglietto da visita per le aspirazioni cinesi di superpotenza accettata al tavolo delle nazioni che contano; la politica cinese si muove a fatica sul terreno dei diritti umani ed un ostacolo del calibro del premio Nobel non è un inciampo da poco. D’altra parte il fronte interno è di altrettanto difficile gestione, la sindacalizzazione e la  presa di coscenza dei lavoratori giunta alle pressioni sui diritti umani proveniente dal ceto intellettuale, pongono i governanti cinesi a mosse ben ponderate; allentare la stretta con concessioni ai lavoratori sulle condizioni di lavoro  è cosa ben diversa dal concedere la libertà, anche a tempo, ad un dissidente per ritirare il premio Nobel, su questo Pechino non può cedere. Ma minacciare la rottura diplomatica con un paese per il solo fatto di consegnare un premio, sia pure il Nobel, è segnale di grande disagio, di non riuscire a gestire la situazione, in questo caso, per il versante diplomatico il gigante mostra piedi d’argilla.

La Svizzera, la UE ed il referendum per l'espulsione degli stranieri criminali

La vittoria nel referendum per l’espulsione degli stranieri autori di particolari crimini in Svizzera scava un solco profondo con la UE; i trattati bilaterali e la direzione presa dall’Europa su questi temi vanno nel senso opposto dal sentire comune della Confederazione elvetica. Il problema è sostanziale su questo binario l’entrata in Europa della Svizzera non è facile, in più siamo di fronte ad un paese spaccato a metà, infatti se è vero che in tutti i cantoni meno uno ha prevalso la vittoria dell’espatrio, su base linguistica il rapporto si/no è schiacciante nella popolazione di lingua tedesca ma molto meno in quella di lingua francese. Non che nel paese ci sia molta difformità, dato che la proposta alternativa al quesito referendario prevedeva comunque l’espulsione, ma applicata ad una rosa meno ampia di reati. Dunque la Svizzera appare abbastanza compatta sul problema della criminalità proveniente da fuori, la novità è che ha sancito con referendum quello che è un sentire comune delle popolazioni europee ma non delle istituzioni della UE. L’affermarsi di partiti nazionalisti e localisti portatrici di istanze particolari e territoriali, con una visione chiusa sull’immigrazione costituisce terreno fertile per argomenti come quello discusso nella confederazione di Berna e costituisce un pericolo per le politiche comunitarie, sempre più in equilibrio, per conciliare le richieste periferiche con le tendenze centrali. Il sintomo di visioni così radicali è una spia per la UE, che deve al più presto affrontare il malessere con finanziamenti e politiche ad hoc, in modo da gestire il disagio dal centro, per impedire pericolose fughe in avanti dalle periferie con comportamenti, anche normativi, che portino ad una spaccatura pericolosa nel nuovo tessuto sociale. La UE non può fare a meno dell’immigrazione sopratutto per ragioni economiche, limitare le situazioni potenzialmente pericolose è una necessità per non scivolare in pericolosi estremismi.

I governi con il fiato sospeso.

Sono ore di attesa nelle cancellerie dei paesi Europei, la minaccia di Wikileaks allunga la sua ombra con la concreta possibilità di rivelare documenti scottanti e compromettenti circa l’azione politica, diplomatica e militare nei confronti di altri stati sovrani in associazione con gli USA. Boutade, minaccia vana o rischio reale? Dai primi movimenti delle personalità più autorevoli dei governi traspare una sincera preoccupazione, sintomo di uno stato di agitazione di chi ha qualcosa da nacondere o di cui vergognarsi. Più volte articoli provenineti da più parti hanno scritto di accordi sottobanco, di operazioni militari oltre il limite della legalità, di manovre per favorire persone od organizzazioni che facevano comodo a certe tendenze politiche o spingevano situazioni contingenti verso la soluzione voluta, ma erano congetture basate su informazioni limitate oppure sul collegamento di fatti reali, che però, potevano apparire avulsi dal contesto in cui erano inseriti, se non collegati ad arte; ora saremmo di fronte a documenti ufficiali segretati e coperti dalla massima riservatezza, prove inconfutabili di manovre oscure sempre sospettate ma mai dimostrate. Non che sia una novità, il corso della storia è costellato di questi episodi, solo che in questo momento storico è maturata una coscienza critica dell’opinione pubblica che non potrebbe tollerare certi metodi. Le conseguenze sono di portata difficilmente immaginabili, non perchè non si verificherebbero, ma perchè quello che potrebbe seguire è realmente difficile da quantificare. Dire che cadrebbero governi non è un’ipotesi peregrina, ma sarebbe, in definitiva il male minore, quello che si dovrebbe temere è la fine di alleanze, il crollo borsistico, l’accartocciarsi di castelli finanziari e finanche l’esplosione di conflitti. A chi giova tutto ciò? Perchè divulgare ora documenti tanto compromettenti (sempre che sia vero)? Ed anche la sola minaccia così gravida di conseguenze, a chi fa comodo? Se fossimo in un romanzo di Fleming, dietro di sarebbe la Spectre di turno, ma adesso chi è questa Spectre? Oppure è possibile che dietro ci sia solo chi dice di esserci? Potremmo essere in presenza di una reale volontà di fare chiarezza e pulizia di una politica distorta per avviare una fase nuova caratterizzata dalla chiarezza e dalla correttezza? Sono domande alle quali ora è impossibile dare risposta perchè se si conoscesse la soluzione si intuirebbe facilmente la direzione verso cui andare. E’ chiaro che lo stato di allarme che si sta registrando segnala che qualcosa prima è successo ma, forse, ancora peggio, qualcosa può succedere. Dovremo attendere poco.

Il pericolo incombente del conflitto Iran-Israele

Le forze armate USA decidono di aumentare il loro deposito di armamento nel territorio israeliano. L’esercito americano mantiene depositi di armamenti pronti all’uso in determinate nazioni poste in zone sensibili, come appunto Israele, la Corea del Sud ed altre, per permettere in caso di crisi l’immediato uso della forza; si tratta di armamenti pesanti come blindati, artiglieria, carri armati, bombe di precisione e missili in grado di contrastare con una entrata in campo pressochè immediata qualunque atto ostile contro il paese minacciato, non solo possono essere impiegate anche come dispiegamento preventivo in casi in cui la situazione internazionale abbia un repentino peggioramento. Inoltre USA ed Israele hanno stretto un accordo di cooperazione che consente l’uso dei satelliti americani per la guida dei missili israeliani. I segnali sono preoccupanti, significa che l’opzione militare contro l’Iran prende sempre più corpo oppure le minacce di Teheran contro Israele sono ritenute sempre più consistenti; in entrambi le ipotesi, che possono anche essere una sola,  siamo di fatto più vicini ad un conflitto che coinvolge Israele ed Iran, e che quindi, rischia di trascinare l’intera regione in una escalation pericolosissima per l’intero pianeta. A parte la tragedia umana di un conflitto dagli esiti incerti, tra l’altro alle porte dell’europa, gli sviluppi sarebbero nerissimi per l’economia, a causa ad esempio degli oleodotti presenti sulle zone circostanti, il terrorismo che terrebbe sotto scacco buona parte del mondo eccetera, tutte cose risapute ma che è bene ricordare. Mai come ora è importante il lavoro delle diplomazie, anche quello sotto traccia, ogni possibilità di scongiurare il conflitto deve essere tentata, in questa fase storica con l’avvitamento negativo della situazione economica un conflitto di tale portata ed in questo scenario significherebbe riportare indietro le lancette dell’orologio della storia indietro di cinquant’anni.

La Francia tenta il riaccredito sulla scena politica internazionale

Parigi accoglie 35 cristiani vittime dell’attentato nella cattedrale di Bagdad, il provvedimento si inquadra nel programma avviato nel 2007 per la tutela delle minoranza iraqene. Aldilà del “beu geste” comunque da apprezzare, il governo di Sarkozy sfrutta e pubblicizza l’occasione per riaccreditarsi di fronte all’opinone pubblica europea e mondiale dopo le aspre critiche guadagnate per l’espulsione dei rom e punta a far leva sul cuore cristiano dell’occidente, il Vaticano, che era stato una delle fonti più decise alla censura dei provvedimenti di espulsione. Sarkozy appare così dondolare tra la critiche e gli apprezzamenti in patria e le stroncature estere, essendo alla ricerca di un consenso totale che difficilmente potrà raggiungere. Inoltre la mossa sembra un disperato tentativo di guadagnare punti almeno sulla scena internazionale dato che quella interna è a saldo negativo per gli scioperi che paralizzano il paese. La difficoltà di ricostruire una immagine internazionale per la Francia passa dal tentativo di giocare la carta religiosa, sempre valida sia sul piano interno, come l’evoluzione della storia francese dimostra, che su quello internazionale per recuperare almeno la parte più sensibile  al sentimento religioso. E’ una mossa che punta anche sulla contrapposizione cristianesimo-islam e che deve fare presa in special modo sulle parti più conservatrici dell’opinione pubblica sia interna che esterna, senza tuttavia correre il pericolo di radicalizzare lo scontro, infatti chi contesterebbe mai un salvataggio? Insomma una bella figura praticamente a costo zero.

L'allargamento di Schengen

Dopo Macedonia, Montenegro e Serbia, anche l’Albania e la Bosnia-Erzegovina fanno il primo passo per l’entrata nel protocollo di Schengen, primo passo verso l’ingresso nell’Unione Europea. Il regolamento, approvato a Bruxelles, prevede un ingresso per un massimo di novanta giorni e mira, tra l’altro, a limitare l’ingresso massiccio di persone richiedenti asilo. Il provvedimento è un vero  e proprio banco di prova per la futura e possibile ammissione nella UE dei paesi interessati che dovranno dimostrare di tenere sotto controllo le frontiere, la lotta contro il crimine organizzato e prestare particolare attenzione al rispetto dei diritti umani. La UE punta molto sull’europeizzazione dei balcani che consentirebbe di unire fisicamente il territorio europeo senza soluzione di continuità  e consentirebbe di allargare il mercato unico sia delle merci che della produzione sotto l’unico tetto comunitario. L’allargamento futuro, stante le condizioni fissate e ben definite, è un obiettivo di Bruxelles che cerca sempre più di estendere la propria influenza con il fine ultimo, per ora ancora lontano, della creazione degli Stati Uniti d’Europa, unica soluzione possibile contro il dominio economico della Cina; una tale unione politica, prima ancora che economica deve essere considerata l’unica possibilità per mantenere il benessere in europa.

A quando un esercito europeo?

La crisi economica porta la necessità di razionalizzare i costi ed anche le spese per le forze armate non sfuggono a questa logica. In quest’ottica è molto interessante la cooperazione tra le forze armate Inglesi e Francesi che deve essere vista anche in chiave europea, si può intendere infatti come prova generale, seppure informale, per la costituzione di una forza militare sotto un unico comando della UE. Tale necessità pare ormai improcrastinabile se l’Unione Europea vuole proporsi come soggetto rilevante sulla scena internazionale; la mancanza di un braccio armato unitario pone, infatti, l’unione in una situazione di inferiorità sullo scacchiere mondiale e ne fa un soggetto di rilevanza incompleta ad ogni ipotetico tavolo delle trattative. Di più: tale soluzione permetterebbe una contrazione delle spese di ogni singolo stato da destinare alle forze armate nazionali in cambio di  una somma minore da investire nell’esercito comunitario. Esistono però difficoltà di non poco conto, che di fatto, hanno frenato l’attuazione di un esercito unico europeo, la gestione di un bilancio statale conferisce un potere che i militari ed i politici cederanno a fatica, inoltre prima di un esercito unico deve esistere almeno una politica estera unitaria e non 27, come adesso; tuttavia dove non riesce la diplomazia potrebbe riuscire la crisi economica, la razionalizzazione delle spese militari, come inaugurato da Francia e Gran Bretagna, potrebbe, facendo di necessità virtù, permettere ai singoli stati la liberazione di risorse consistenti da investire in altre partite del bilancio statale ed aprirebbe ad una soluzione realmente sovranazionale.