La crisi politica italiana, che ha visto le dimissioni del primo ministro Mario Draghi, ha origini, che risiedono in una classe politica ed anche sociale inadatta ed incompetente, nel populismo e nel sovranismo e non ultime in una situazione internazionale dove gli amici della Russia sono stati tacitati dall’estrema violenza usata da Mosca contro la popolazione civile ucraina. La classe politica italiana è ulteriormente scesa di livello dopo le elezioni del 2018, che hanno visto il successo di un movimento che ha portato in parlamento una serie di persone assolutamente inadatte a ricoprire il ruolo di rappresentante del popolo italiano, tuttavia questo risultato si è poi rivelato analogo in gran parte degli eletti anche negli altri partiti: un insieme di inesperti con l’unico obiettivo di cercare una alternativa ad un lavoro che non sapevano trovare. Risulta significativo che alcun rappresentante eletto sia riuscito a ricoprire la carica di presidente del Consiglio e si sia dovuto cercare al di fuori di Camera e Senato. Per ovviare alla mediocrità della classe politica, come ultima soluzione il Presidente della Repubblica è dovuto ricorrere ad una personalità che costituiva una eccellenza mondiale per la carriera fino ad ora percorsa. Il prestigio dell’Italia è accresciuto e così i vantaggi economici e politici per il paese italiano ed il governo, seppure in un contesto di difficoltà interno, per la presenza di partiti di tendenze opposte, ed internazionale per il contesto attuale, è riuscito, almeno in parte, a portare avanti riforme essenziali. Certamente non tutte le parti sociali potevano dirsi soddisfatte, ma era la soluzione migliore, tuttavia la necessità di rincorrere l’unico partito all’opposizione “Fratelli d’Italia”, formazione di estrema destra a portato al dissesto del governo: prima l’ex premier Conte alla guida dei populisti di sinistra ha sottoposto al governo una lista di richieste, anche corrette, ma non ricevibili dai partiti di centro destra al governo. L’intenzione era evidentemente quella di esasperare una situazione già complessa proprio per cercare di migliorare dei sondaggi fortemente negativi facendo appello ad uno spirito del movimento che è sempre più ridotto. Questo tentativo ha provocato la rincorsa ai sondaggi dei partiti del centro destra al governo, che già temevano le stime troppo positive dell’estrema destra ed hanno scelto di non appoggiare più il governo, senza avere il coraggio di votare palesemente contro, per migliorare il loro gradimento in forte discesa. Si è così sacrificato un governo che aveva in programma riforme ed aiuti a famiglie ed imprese soltanto per consentire, forse, l’elezione dei soliti noti e con la minaccia di avere in tempo di pandemia, guerra inflazione e siccità una premier di estrema destra che ha solo una esperienza come ministra della gioventù, una esperienza non certo sufficiente a guidare un paese in un momento come questo. In più si deve rilevare che i partiti che hanno fatto cadere il governo Draghi, a parte Forza Italia, Lega e Movimento cinque stelle hanno sempre simpatizzato per la Russia e questo sospetto non può che essere considerato. Non che sia stata una azione deliberata in tal senso, ma le posizioni contro le forniture di armi all’Ucraina venivano proprio da queste parti politiche, in nome della pace, in realtà a favore di convinzioni a favore di Mosca e di Putin. L’Italia esce molto male da questa vicenda a livello interno ed internazionale e perde una occasione importante per tornare a contare in Europa e nel mondo, il futuro del paese italiano si annuncia molto difficile con le sfide autunnali che si prospettano sia per la pandemia, che, soprattutto, per le sfide economiche che rischiano di disgregare definitivamente un tessuto sociale afflitto da una profonda diseguaglianza.
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L’Italia da paese più danneggiato nei nuovi rapporti con la Russia a possibile protagonista nel caso di trattative diplomatiche
L’invasione russa dell’Ucraina cambia i rapporti internazionali di Mosca con i paesi europei; in particolare con Roma con la quale la Russia, malgrado il rispettivo schieramento su fronti opposti, è sempre stato contraddistinto da una buona intesa. Sono passati soltanto due anni dall’inizio della pandemia ed il convoglio dell’esercito russo con forniture mediche, con destinazione un centro del settentrione italiano tra i più colpiti, permetteva a Putin di raccogliere un ottimo risultato in termini di immagine. Ma questo è stato solo uno degli ultimi esempi di un rapporto basato sul pragmatismo italiano, basato sulla propria natura culturale e commerciale, che ha da sempre esercitato una forte capacità di attrazione nei confronti dei russi. Storicamente questo rapporto, perseguito seppure Roma è sempre stata una grande alleata di Washington, è stato mantenuto anche nella guerra fredda, con collaborazioni industriali e grazie alla presenza del più forte partito comunista occidentale. Più recentemente questi legami sono stati mantenuti anche dai governi a matrice progressista, capaci di ottenere forniture energetiche importanti ed aprire canali commerciali sempre più intensi nel genere del lusso, del turismo e dell’alimentare. Più recentemente i legami con Putin si sono sviluppati con i partiti sovranisti, anche per la strategia del presidente russo di volere dividere l’Unione Europea, tuttavia ciò non ha impedito un legame particolarmente importante con il governo in carica, dove, peraltro, partecipa il partito della Lega Nord, che da sempre ha legami stretti con il partito di Putin, circa ingenti forniture di gas russo. L’economia italiana dipende dal gas russo per circa il 45% del totale, che per ora sono assicurate, malgrado la decisione di Roma di affiancare l’Unione Europea e l’occidente nelle sanzioni contro il Cremlino. Nonostante i piani di riconversione verso una energia più pulita ed i contratti per nuove forniture di gas liquido proveniente dagli Stati Uniti, la preoccupazione nel tessuto sociale e produttivo è molto elevata. L’Italia oltre alle sanzioni economiche contro la Russia, si è impegnata in un programma molto vasto di forniture militari ai militari ucraini, che comprende missili antiaerei, missili anticarro, mitragliatrici di varia portata e munizioni, che potrebbero complicare di molto l’avanzata delle forze militari di Mosca. La combinazione tra la dipendenza dal gas russo con le forniture militari e le sanzioni potrebbero provocare un costo più alto per gli italiani, rispetto agli altri paesi componenti dell’Unione Europa. In realtà la posizione italiana non è stata da subito così netta, proprio per i timori dei vari comparti economici coinvolti nell’esportazione verso la Russia; la particolare sensibilità del governo in carica, guidato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea, verso l’economia ha fatto temere che Roma avrebbe potuto tenere un atteggiamento meno duro verso la Russia, in realtà lo spirito profondamente europeista ed atlantico della compagine governativa, ha permesso di superare questi ostacoli rappresentati dalla prospettiva di sicure perdite per l’economia nazionale. Per quanto riguarda le forniture di gas si tratta comunque di un rischio calcolato: l’Italia ha necessità del gas russo, ma la Russia ha ancora più necessità di venderlo, soprattutto dopo che è stata sottoposta al duro regime delle sanzioni, d’altra parte il comportamento di Putin ha avuto l’effetto positivo, ma non per la Russia, di compattare una Unione Europea, che ora risulta più unita che mai e che potrebbe dimostrarsi ancora più propensa a permettere elasticità di bilancio per chi si impegna nelle sanzioni e nella politica contro la Russia e nell’accoglienza dei profughi ucraini. I cardini dell’azione politica estera dell’Unione rimangono Parigi e Berlino, ma Roma arriva immediatamente dopo e per i pregressi rapporti con Mosca, potrebbe essere decisiva in una eventuale fase di negoziato per risolvere il conflitto, come, del resto, ha riconosciuto pubblicamente l’ambasciatore russo in Italia. La fermezza di Roma nel condannare, giustamente, la Russia non è, quindi, mai stata in discussione, ed anzi è rafforzata proprio dal volume di affari destinato a scendere per le casse italiane, tuttavia per il paese italiano potrebbe essere pronto un ruolo di primo piano se l’Unione vorrà impegnarsi in prima persona, pur essendo un protagonista di parte per l’appoggio fornito a Kiev, quando si dovrà finalmente passare la parola dalle armi al tavolo delle trattative.
Alcune riflessioni sul referendum italiano sulla riduzione dei parlamentari
La questione del referendum italiano sulla riduzione dei parlamentari si inquadra in uno scenario generale di utilizzo di tematiche politiche in un’ottica populista, che è diventato elemento comune a livello mondiale. La scena politica italiana si contraddistingue per una profonda delusione delle forze politiche tradizionali, che è stata indirizzata, non certo in maniera inconsapevole, verso forze antisistema, capaci di sfruttare un malcontento diffuso, che ha generato una gran quantità di elettori privi di riferimenti. La comparsa sulla scena politica italiana di movimenti nuovi o di movimenti che hanno subito una trasformazione in senso populista ha estremizzato l’attenzione su temi non funzionali al miglioramento del sistema politico, ma ne ha variato l’azione con intenti di moralizzazione del sistema, anche se con effetti pratici spesso contrari alle intenzioni dichiarate. L’intenzione di ridurre il numero dei parlamentari, formalmente e praticamente i rappresentanti della popolazione, per ridurre le spese di funzionamento del parlamento italiano è stata presentata come un successo fondamentale per il paese italiano. In realtà la prima obiezione naturale a questa lettura è che si può ottenere lo stesso effetto con la riduzione dei costi generali, mantenendo lo stesso numero degli eletti; anche perché questa riforma, senza una legge elettorale costruita su questa riforma, genererà delle differenze profonde tra regione e regione a causa del numero di voti che sarà necessario per eleggere un deputato. Attualmente, secondo le previsioni, ci sono casi dove in alcune regioni per eleggere un componente del parlamento ci vorrà un numero tre volte dei consensi rispetto ad altre regioni e potrebbe anche verificarsi la mancata rappresentatività per altre regioni più piccole. Che la questione sia puramente simbolica sarebbe evidente anche dalla modestia dell’entità del risparmio. Tuttavia oltre queste considerazioni, pare evidente che la prima ricaduta negativa sia un difetto di rappresentanza politica che comprime il rapporto tra eletti ed elettori aumentando ulteriormente la distanza tra le due parti e quindi il malcontento politico. Ma il sospetto maggiore è che questa riforma, che intacca il dettato costituzionale, sia funzionale ad un maggiore controllo dei deputati eletti, una sorta di soluzione per la mancata abolizione del divieto mandato imperativo previsto nella carta costituzionale. Gli sviluppi delle ultime leggi elettorali hanno cancellato la possibilità per l’elettorato attivo di esercitare la scelta della preferenza, favorendo il potere delle segreterie dei partiti sia sulla candidabilità, che sulla reale possibilità di elezione durante le elezioni politiche; la reale intenzione è stata quella di limitare l’azione individuale e personale dei singoli eletti, per ricondurre l’attività parlamentare ai voleri dei gruppi dirigenti più ristretti. Se, da un lato, si voleva ufficialmente combattere la pratica del cambio di partito durante la legislatura, dall’altro emergeva la volontà di ridurre l’autonomia degli eletti a favore di strategie politiche elaborate in consessi più ristretti, che, di fatto, erano e sono gli unici autorizzati all’indirizzo da dare al partito o al movimento, impedendo, così, una visione multipla, essenziale per il dibattito interno ai partiti. Una riduzione del numero dei parlamentari favorirebbe un maggiore controllo del dissidio interno, soprattutto in un’epoca dove l’aspetto dirigistico dei movimenti politici ha avuto la meglio sulla discussione della base. Questo aspetto di volere contenere le opinioni contrarie al gruppo dirigente è un fattore che accomuna ogni movimento politico o partito, presente nella scena politica italiana: ciò è dovuto ad una scarsa propensione alla considerazione delle posizioni non allineate, vissute spesso con fastidio dai gruppi dirigenti, ma anche ad una sempre minore pratica politica dei leader di partito, incapaci di fornire risposte veloci alle domande dell’elettorato, soprattutto se ostacolati da idee differenti interne al partito. Il dissenso interno non è più contemplato, ed è visto come un impedimento, un impegno che è un ostacolo alla lotta politica contro gli avversari. Una delle ragioni è che il livello dei dirigenti è sceso di pari passo con il livello delle discussioni portate di fronte agli elettori: un livello sempre più semplice, argomenti di base che non richiedono la spiegazione di un progetto politico articolato ma soltanto polarizzato nelle sue accezioni opposte. Ecco, quindi, lo scenario dove si sono sviluppate le condizioni per portare avanti il progetto della riduzione dei parlamentari con un benestare più o meno quasi totale delle forze politiche, allineate sul terreno dell’antipolitica ed incapaci di dire di no, anche per motivi di convenienza.