Il pericolo incombente del conflitto Iran-Israele

Le forze armate USA decidono di aumentare il loro deposito di armamento nel territorio israeliano. L’esercito americano mantiene depositi di armamenti pronti all’uso in determinate nazioni poste in zone sensibili, come appunto Israele, la Corea del Sud ed altre, per permettere in caso di crisi l’immediato uso della forza; si tratta di armamenti pesanti come blindati, artiglieria, carri armati, bombe di precisione e missili in grado di contrastare con una entrata in campo pressochè immediata qualunque atto ostile contro il paese minacciato, non solo possono essere impiegate anche come dispiegamento preventivo in casi in cui la situazione internazionale abbia un repentino peggioramento. Inoltre USA ed Israele hanno stretto un accordo di cooperazione che consente l’uso dei satelliti americani per la guida dei missili israeliani. I segnali sono preoccupanti, significa che l’opzione militare contro l’Iran prende sempre più corpo oppure le minacce di Teheran contro Israele sono ritenute sempre più consistenti; in entrambi le ipotesi, che possono anche essere una sola,  siamo di fatto più vicini ad un conflitto che coinvolge Israele ed Iran, e che quindi, rischia di trascinare l’intera regione in una escalation pericolosissima per l’intero pianeta. A parte la tragedia umana di un conflitto dagli esiti incerti, tra l’altro alle porte dell’europa, gli sviluppi sarebbero nerissimi per l’economia, a causa ad esempio degli oleodotti presenti sulle zone circostanti, il terrorismo che terrebbe sotto scacco buona parte del mondo eccetera, tutte cose risapute ma che è bene ricordare. Mai come ora è importante il lavoro delle diplomazie, anche quello sotto traccia, ogni possibilità di scongiurare il conflitto deve essere tentata, in questa fase storica con l’avvitamento negativo della situazione economica un conflitto di tale portata ed in questo scenario significherebbe riportare indietro le lancette dell’orologio della storia indietro di cinquant’anni.

La Francia tenta il riaccredito sulla scena politica internazionale

Parigi accoglie 35 cristiani vittime dell’attentato nella cattedrale di Bagdad, il provvedimento si inquadra nel programma avviato nel 2007 per la tutela delle minoranza iraqene. Aldilà del “beu geste” comunque da apprezzare, il governo di Sarkozy sfrutta e pubblicizza l’occasione per riaccreditarsi di fronte all’opinone pubblica europea e mondiale dopo le aspre critiche guadagnate per l’espulsione dei rom e punta a far leva sul cuore cristiano dell’occidente, il Vaticano, che era stato una delle fonti più decise alla censura dei provvedimenti di espulsione. Sarkozy appare così dondolare tra la critiche e gli apprezzamenti in patria e le stroncature estere, essendo alla ricerca di un consenso totale che difficilmente potrà raggiungere. Inoltre la mossa sembra un disperato tentativo di guadagnare punti almeno sulla scena internazionale dato che quella interna è a saldo negativo per gli scioperi che paralizzano il paese. La difficoltà di ricostruire una immagine internazionale per la Francia passa dal tentativo di giocare la carta religiosa, sempre valida sia sul piano interno, come l’evoluzione della storia francese dimostra, che su quello internazionale per recuperare almeno la parte più sensibile  al sentimento religioso. E’ una mossa che punta anche sulla contrapposizione cristianesimo-islam e che deve fare presa in special modo sulle parti più conservatrici dell’opinione pubblica sia interna che esterna, senza tuttavia correre il pericolo di radicalizzare lo scontro, infatti chi contesterebbe mai un salvataggio? Insomma una bella figura praticamente a costo zero.

L'allargamento di Schengen

Dopo Macedonia, Montenegro e Serbia, anche l’Albania e la Bosnia-Erzegovina fanno il primo passo per l’entrata nel protocollo di Schengen, primo passo verso l’ingresso nell’Unione Europea. Il regolamento, approvato a Bruxelles, prevede un ingresso per un massimo di novanta giorni e mira, tra l’altro, a limitare l’ingresso massiccio di persone richiedenti asilo. Il provvedimento è un vero  e proprio banco di prova per la futura e possibile ammissione nella UE dei paesi interessati che dovranno dimostrare di tenere sotto controllo le frontiere, la lotta contro il crimine organizzato e prestare particolare attenzione al rispetto dei diritti umani. La UE punta molto sull’europeizzazione dei balcani che consentirebbe di unire fisicamente il territorio europeo senza soluzione di continuità  e consentirebbe di allargare il mercato unico sia delle merci che della produzione sotto l’unico tetto comunitario. L’allargamento futuro, stante le condizioni fissate e ben definite, è un obiettivo di Bruxelles che cerca sempre più di estendere la propria influenza con il fine ultimo, per ora ancora lontano, della creazione degli Stati Uniti d’Europa, unica soluzione possibile contro il dominio economico della Cina; una tale unione politica, prima ancora che economica deve essere considerata l’unica possibilità per mantenere il benessere in europa.

Accordo USA Australia per il controllo dello spazio

USA ed Australia siglano un accordo di cooperazione riguardante la difesa aerospaziale. L’importanza strategica di questo accordo è rilevante dato che siamo nello stesso emisfero della Corea del Nord, paese al centro di dispute internazionali a causa della sperimentazione della bomba atomica. L’accordo ha una duplice valenza: permette agli USA il monitoraggio dell’attività atomica coreana e consente la protezione dell’alleato australiano pericolosamente vicino a Pyongyang. L’intenzione degli USA è di costruire una base sul territorio australiano e si inquadra nella politica di difesa aerospaziale di Obama tesa a coprire con una rete di sorveglianza l’intero globo, il controllo è ritenuto sempre più necessario a causa del proliferare degli stati con o che cercano di dotarsi dell’atomica, la funzione è anche preventiva perchè permetterà il monitoraggio costante degli avanzamenti dei progressi sull’atomica.

Il difficile futuro del Partito Repubblicano USA

La vittoria del partito repubblicano negli USA apre nuovi scenari nella politica interna americana, tra i tanti quello che al momento appare più rilevante è proprio all’interno del partito dell’elefante, infatti i dirigenti dovranno gestire la grana Palin (e del Tea party), che appare sempre più slegata ed indipendente dalle strategie del partito. La vittoria nella consultazione elettorale è stata figlia di due fattori determinanti: da un lato la difficoltà di Obama con la congiuntura economica attuale, il quale non è riuscito a mantenere le sue promesse, non tanto per incapacità quanto per le difficoltà oggettive legate al mancato sviluppo economico, dall’altro lato per l’azione incessante del movimento del tea party che ha saputo radicalizzare ed indirizzare lo scontro dell’america profonda contro il riformismo di Obama. Stante questa situazione i candidati repubblicani non espressione del movimento del te sono andati a rimorchio ed hanno riportato la vittoria per inerzia, ma ciò, paradossalmente, invece che rinforzare il partito lo ha indebolito a favore dell’ala autonoma ed estremista del movimento del te. Il problema è concreto dato che il partito credeva di governare il fenomeno ed invece ne è stato travolto; le posizioni del te party non rispecchiano se non in minima parte le opinioni repubblicane che sono si di destra, ma una destra più tecnocrate  e moderna in completa antitesi con le istanze ultraconservatrici. Il vero pericolo è un’eventuale autocandidatura della Palin a Presidente, per il partito sarebbe veramente difficile motivare un rifiuto ma sarebbe altresì difficile gestire tale  Presidenza certamente fuori dagli schemi.

A quando un esercito europeo?

La crisi economica porta la necessità di razionalizzare i costi ed anche le spese per le forze armate non sfuggono a questa logica. In quest’ottica è molto interessante la cooperazione tra le forze armate Inglesi e Francesi che deve essere vista anche in chiave europea, si può intendere infatti come prova generale, seppure informale, per la costituzione di una forza militare sotto un unico comando della UE. Tale necessità pare ormai improcrastinabile se l’Unione Europea vuole proporsi come soggetto rilevante sulla scena internazionale; la mancanza di un braccio armato unitario pone, infatti, l’unione in una situazione di inferiorità sullo scacchiere mondiale e ne fa un soggetto di rilevanza incompleta ad ogni ipotetico tavolo delle trattative. Di più: tale soluzione permetterebbe una contrazione delle spese di ogni singolo stato da destinare alle forze armate nazionali in cambio di  una somma minore da investire nell’esercito comunitario. Esistono però difficoltà di non poco conto, che di fatto, hanno frenato l’attuazione di un esercito unico europeo, la gestione di un bilancio statale conferisce un potere che i militari ed i politici cederanno a fatica, inoltre prima di un esercito unico deve esistere almeno una politica estera unitaria e non 27, come adesso; tuttavia dove non riesce la diplomazia potrebbe riuscire la crisi economica, la razionalizzazione delle spese militari, come inaugurato da Francia e Gran Bretagna, potrebbe, facendo di necessità virtù, permettere ai singoli stati la liberazione di risorse consistenti da investire in altre partite del bilancio statale ed aprirebbe ad una soluzione realmente sovranazionale.

Il Brasile nuova speranza delle democrazie

La nuova presidente brasiliana Dilma Rousseff si prepara a raccogliere le pesante eredita’ di Lula, capace di cambiare lo stato verdeoro fino a farlo diventare una grande potenza mondiale. L’impegno che la nuova presidente vuole prendere con il paese e’ ambizioso, ma anche doveroso: sradicare la miseria e fornire a tutti una possibilita’ di miglioramento sociale. I primi punti da percorrere saranno la guerra alla denutrizione con un programma alimentare capace di estinguere il problema della fame, ancora presente in un paese che si candida a diventare uno dei motori economici del pianeta; poi, altrettanto pressante, il problema abitativo con gran parte di poveri che vivono in bidonville  insopportabili per un paese civile, lo scopo e’ duplice, perche’ permette di combattere l’alto tasso di malattie endemiche che partono da questi villaggi ai margini della societa’. Gli scienziati sociali guardano con attenzione agli sviluppi della politica della nuova presidente e come sapra’ coniugare le promesse di una nuova coesione sociale in uno stato ricco non solo economicamente ma sopratutto di differenze sociali ed economiche, si trattera’ di operare una redistribuzione della ricchezza verso il basso, sapendo coinvolgere l’intera societa’ brasiliana in un processo di autotrasformazione condiviso.  Sara’ interessante vedere la reazione dei ceti dominanti ai quali sara’ inevitabilmente chiesto di rinunciare a porzioni di reddito in cambio di pace sociale, ma a cui sara’ fornita una nuova chiave di guadagno grazie alle economie etica e sostenibile, che saranno senz’altro incrementate grazie a contributi statali. Se il nuovo modello, perche’ inevitabilmente nuovo dovra’ essere, sara’ un successo, il Brasile si candidera’ a capofila dei paesi in via di sviluppo esportando un sistema sociale che potra’ garantire un benessere finalmente sostenibile sia economicamente che socialmente e potra’ anche essere uno stato leader nell’esportazione della democrazia in tutto il globo in modo morbido e quindi senza armi.