L’accoglienza dei profughi afgani conferma le divisioni irrimediabili dell’Unione Europea

Dopo quattro mesi da quando i talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, l’Unione Europea, ma non tutti i suoi membri, ha deciso di ospitare oltre 38.000 profughi afgani; l’annuncio del commissario europeo per gli interni cerca di fornire un riparo ai cittadini del paese afgano che necessitano di protezione sopratutto per avere collaborato con gli occidentali durante il precedente governo, ma serve anche a Bruxelles ha riottenere una qualche riappacificazione con la coscienza europea, o almeno quella parte che si è pronunciata per la tutela dei diritti, mentre segnala ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che l’Unione è tutt’altro che unita sul tema dell’accoglienza e sulla stessa condivisione dei valori fondativi dell’Unione. Il paese che si farà maggiore carico dell’ospitalità dei profughi afgani sarà la Germania, dove ne saranno accolti circa 25.000. L’ospitalità degli afgani rientra in una disponibilità più ampia della quantità dei profughi da accogliere, che l’Unione Europea ha garantito e che in totale riguarderà 60.000 persone, di cui, appunto, gli afgani rappresentano il contingente maggiore, mentre il numero restante riguarderà profughi provenienti dalla Siria o dal Mediterraneo meridionale; la cifra dei profughi accolti sarà di poco inferiore a quanto richiesto dalle Nazioni Unite, che era di 42.500 cittadini afgani. Le modalità di arrivo dei profughi seguiranno dei corridoi di sicurezza in modo da garantire ogni salvaguardia per le persone. Al di fuori dell’elenco dei quindici paesi ospitanti ci sono l’Austria, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, mentre la Solovacchia si è detta disponibile ad accogilere 22 cittadini afgani. Quello che si ripropone è un confronto non più tollerabile tra chi accett, sottoscrive e mette in pratica i principi fondativi dell’Unione e chi li rifiuta prendendo soltanto i vantaggi; siamo di fronte, cioè, all’ennesimo segnale negativo e probabilmente incontrovertibile della reale legittimità che alcuni paesi continuino a restare membri di diritto dell’Unione Europea. Questi governi spesso al confine della democrazia, tanto da essere più volte accusati di violare i diritti, continuano nella loro politica minoritaria di fronte alla maggioranza in virtù della regola dell’unanimità e della mancanza di sanzioni a restare nell’Unione, dimostrando di non meritarlo. Bruxelles deve comprendere di effettuare una revisione delle proprie regole per eliminari le nazioni parassite, quelle che non adempiono ai propri doveri, ma godono di tutti i vantaggi come se lo facessero. Il tema dei profughi rappresenta il segnale di maggiore rilevanza per comprendere le reali intenzioni di  una nazione di fronte agli obblighi che ha liberamente sottoscritto, Bruxelles non può più tollerare simili comportamenti e nei membri leali all’Unione si dovrebbe aprire concretamente un dibattito capace di arrivare anche ad una drastica riduzione dei componenti dell’ente sovranazionale, per eliminare i membri riottosi agli ideali europei. Si tratta di un’analisi ormai non più rinviabile, che non deve comprendere timori per un eventuale ridimensionamento numerico, perchè ciò consentirà una adesione improntata ad una maggiore qualità dovuta alla reale condivisione degli oneri e non solo dei vantaggi. L’esperienza dell’usscita della Gran Bretagna ha avuto anche ricadute positive, dimostrando che l’Unione può proseguire la sua strada anche senza un membro di tale importanza e, quindi, ragione in più per eliminare paesi senz’altro di minore peso. L’alternativa è una Europa a due velocità, ma questa soluzione contiene in se stessa comunque rallentamenti per il percorso delle nazioni convinte degli ideali europei, quindi meglio fare chiarezza fin da subito, per non vedere più proposte di costruire muri con i contributi europei: l’Unjione non è nata per questo.

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