I difensori di Assange

Vladimir Putin si arruola tra i difensori di Assange, tacciando gli USA di non essere una democrazia, concetto che sa tanto di pensiero sovietico (di cui Putin era funzionario, KGB per la precisione); il fatto apre una riflessione più ampia sulla diffusione dei file e le ragioni di chi difende  Wikileaks in nome della libertà di stampa. Dato per scontato che la libertà di stampa è proprio uno dei capisaldi della democrazia (su cui Putin e  la Russia dovrebbero riflettere, sopratutto dopo i recenti casi di uccisione e pestaggi dei giornalisti), nel quadro più ampio delle relazioni internazionali si deve operare una riflessione con alcuni distinguo. Nella diffusione dei file riservati siamo in presenza di un’azione a senso unico contro gli Stati Uniti, non è una valutazione è un fatto concreto, l’unica diplomazia colpita è quella americana, non esistono file riservati analoghi di alcun altro paese che Wikileaks disveli. Se fossimo in presenza di una associazione che si muove con i principi con cui afferma di muoversi Wikileaks non pare dovrebbe esserci un solo paese sotto attacco, questa non è un’osservazione da poco, fornire una risposta concreta soltanto a questa riflessione chiarirebbe molte domande in un solo colpo. Frattanto Assange è diventato una sorta di paladino degli hacker, sui quali esercita giustamente il fascino del pirata informatico, piedistallo su cui è salito grazie ai media, che non hanno mai approfondito la questione in maniera appropriata. D’altro canto è comprensibile che i giornalisti si siano buttati a peso morto su questa quantità di dati, ma finito l’entusiasmo iniziale sono mancate le giuste riflessioni, si va avanti sulla cronaca e non si scava dietro la notizia; con l’arresto dell’australiano si spera di capire di più sulla strategia di Wikileaks.

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