L’Alleanza Atlantica avverte la Russia e la Cina circa la tutela dei propri interessi

L’incontro di Madrid dell’Alleanza Atlantica ha sancito il cambio di impostazione e finalità dell’organizzazione di Bruxelles, ma ha, soprattutto, permesso di registrare una nuova vitalità dettata dalle contingenze del momento, che vengono assunte come scenario di lungo periodo e di difficile soluzione, per il quale occorre una presa d’atto ufficiale, che obbliga a decisioni pratiche per contrastare gli avversari. Una delle maggiori novità è l’abbandono della neutralità da parte di Svezia e Finlandia per entrare nell’Alleanza Atlantica, appianate le divergenze con la Turchia, con una tempistica piuttosto rapida se messa in relazione ai comportamenti di Erdogan, che consente un allargamento notevole dell’area delle potenziali operazioni, dove è molto rilevante la frontiera che il paese finlandese divide con la Russia, ormai accerchiata ad ovest dei suoi confini. L’importanza del ruolo, involontario, di Mosca come propulsore allo slancio dell’Alleanza Atlantica, ha consentito una presa d’atto forte sulla necessità della tutela dei confini e della conseguente integrità territoriale, nonché della sovranità dei singoli stati che appartengono all’Alleanza. Sebbene la Russia rappresenti l’emergenza più attuale, che obbliga a considerare la crisi presente come la peggiore dalla fine del secondo conflitto mondiale e, che di conseguenza rende necessario un riarmo massiccio e, probabilmente, una grande mobilitazione di militare, la visione dell’Alleanza Atlantica deve essere per forza di cose, ben più ampia. Lo scenario mondiale generale, aldilà di quello europeo, acuisce la concorrenza strategica nel contesto globale e le sfide, presenti e future sull’economia diventeranno sempre più esasperate, ma non solo: la multipolarità della scena diplomatica comprende notevoli rischi per gli assetti geopolitici, la presenza delle emergenze terroristiche e la proliferazione nucleare, costituiscono minacce sempre più concrete a cui rispondere. Se la Russia è il presente più urgente, non viene tralasciato il rapporto con la Cina, con cui necessita di trovare un dialogo per non fare finire il rapporto come con il Cremlino; tuttavia viene riconosciuto che Pechino utilizza metodi violenti e coercitivi per conseguire risultati, al suo interno, in aperto contrasto con i valori occidentali, mentre verso l’esterno utilizza, in analogia con la Russia, sistemi per influenzare i paesi occidentali ed insiste per esportare la propria influenza politica ed economica verso gli stati poveri; mentre sul tema della vicinanza con Mosca rappresenta un oggettivo pericolo per l’occidente sul quale deve essere avvisata sulle relative possibili conseguneze. Il problema dei rapporti con gli stati autoritari accompagnerà senz’altro il futuro, con temi di difficile soluzione, come la proliferazione degli armamenti, non solo quelli nucleari, ma anche quelli chimici e batteriologici ed anche le conseguenze del riscaldamento climatico: se le intenzioni sono quelle di usare la diplomazia, occorre prevedere situazioni di confronto in cui sono necessarie prese di posizione molto dure e che possano comprendere anche il potenziale uso della forza. Anche l’Africa, però rappresenta un’emergenza, perché subisce condizioni favorevoli allo sviluppo dell’estremismo che prospera grazie alle carestie ed alla crisi alimentari ed umanitarie, inoltre investire nel continente nero significa fermare l’espansione e l’ambizione proprio di Cina e Russia, che stanno progressivamente occupando gli spazi vuoti lasciati dagli occidentali. Le conclusioni del vertice riguardano la fine del progetto di instaurare rapporti amichevoli con gli eredi dei sovietici, come enunciato nel 2010 a Lisbona, l’Alleanza Atlantica diventa pienamente consapevole che attualmente Mosca agisce in maniera diretta per alterare la stabilità dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica, con modalità, anche subdole, che vanno dalla ricerca dell’instaurazione di sfere di controllo mediante aggressione, annessione e sovversione, con mezzi di guerra convenzionale, per ora, ma anche informatici. La retorica del Cremlino, che infrange in modo sistematico le regole di convivenza internazionale, non può che essere un ostacolo per qualsiasi rapporto con la Russia e la dichiarazione di disponibilità a mantenere aperti i canali di comunicazione, appare come una dichiarazione non programmatica e sostanziale, ma soltanto una formalità dovuta alla necessità diplomatica.

La Cina vittima collaterale del conflitto ucraino

L’aggressione della nuova “Unione Sovietica” di Putin ai danni dell’Ucraina, che ha violato ogni regola del diritto internazionale, ha provocato un senso di confusione per Pechino, la cui preoccupazione principale resta la propria crescita economica, che, però, non può essere svincolata da uno stato di stabilità globale. Il primo risultato del Cremlino è stato quello di compattare il fronte occidentale ed ancora di più l’Unione Europea, che sta trovando, pur tra molte difficoltà, una unità di intenti quasi sconosciuta e non certamente prevedibile in tempi relativamente così brevi. Questo dato è il contrario di quanto sempre perseguito dai russi, dagli stessi cinesi ed anche dagli USA, perlomeno quelli guidati da Trump. Per tutti questi soggetti era prioritario operare per ottenere una divisione sempre più profonda tra gli stati europei in modo da trattare con le singole nazioni invece che con tutto il blocco dell’Unione. Per questo scopo questi attori internazionali, che temevano un nuovo soggetto di grandi proporzioni sulla scena globale con proprie capacità politiche ed anche militari e non solo economiche, hanno più volte messo in atto operazioni, anche illegali come attività informatiche illecite, finanziamenti a partiti e movimenti sovranisti locali ed una politica diplomatica intensa rivolta a sfruttare le divisioni degli stati dell’Unione. L’invasione criminale dell’Ucraina ha apparentemente superato ogni tentativo di divisione faticosamente perseguite, finendo per danneggiare per primi, oltre ai russi, proprio ai cinesi, che, d’ora in poi, dovranno adattarsi alla nuova situazione. Pechino, pur affermando la sua fedeltà a Mosca e denunciando, seppure in modo alternato, le colpe dell’Alleanza Atlantica, si è detta molto preoccupata per la situazione di guerra ed ha annunciato la propria volontà di fornire un contributo per la risoluzione della crisi. La maggiore preoccupazione espressa appare quella per le sanzioni economiche contro la Russia, che costituisce una aggravante alla situazione pandemica, per la ripresa economica globale. Occorre anche ricordare che la Cina era, prima dell’inizio del conflitto, il principale partner commerciale di Kiev, e non gradirebbe perdere questo primato, soprattutto se l’Ucraina, una volta finito il conflitto, andasse a gravitare nell’orbita di Bruxelles. I diplomatici cinesi si sforzano con una sorta di equidistanza, che afferma che l’integrità di ogni paese dovrebbe essere tutelata, così come le preoccupazioni di sicurezza di ogni nazione: questo atteggiamento fornisce la percezione di una politica presa alla sprovvista ed ancora indecisa su quale atteggiamento prendere in maniera definitiva. La vicinanza con la Russia non deve essere data per scontata, perché è troppa la distanza ed i rispettivi interessi non sono coincidenti, ma è solo funzionale contro gli Stati Uniti ed, in maniera minore l’Europa. Pechino non può, proprio per non compromettere i suoi piani di crescita economica, avviare nuovi contrasti con Washington, che potrebbero riflettersi sui rapporti commerciali con gli USA, così come non può andare contro l’Europa, che rappresenta il mercato più ricco dove fare arrivare i propri prodotti. Probabilmente dal punto di vista politico l’azione di Putin non dispiace ai cinesi, perché, malgrado le smentite, possono leggere analogie con Taiwan, ma al momento perfino questa questione sembra passare in secondo piano rispetto alla mancata ripartenza dell’economia globale. Una ulteriore preoccupazione per la Cina è la capacità espressa dall’Europa di elaborare strategie per sopperire in un futuro non troppo lontano alle forniture energetiche russe e la ritrovata sintonia con gli USA , che può costituire un punto di partenza per alleanze commerciali più strette, che determinerebbero una minore capacità di movimento commerciale cinese verso quelli che sono i mercati più ricchi del pianeta. Non si sa se nell’incontro tra Putin e Xi Jingping in occasione dell’inaugurazione delle recenti olimpiadi invernali, il leader russo avesse informato quello cinese, ma è sicuro che per gli sviluppi che la guerra ha provocato il risentimento cinese è elevato, anche se non può essere espresso. Studi e piani della Cina sono stati vanificati da una decisione folle che sta determinando per la Cina un futuro commerciale difficoltoso e, però, su questa ragione si può pensare che Pechino non trascurerà ogni sforzo per fermare un conflitto, che la vede come la maggiore vittima collaterale.

La possibile tattica russa e le potenziali risposte occidentali

Probabilmente l’impegno russo in Siria non era solo dettato da esigenze geopolitiche, come mantenere l’unica base di Mosca nel Mediterraneo, attraverso il mantenimento al potere di Assad, ma era anche una esercitazione preventiva per preparare l’azione militare in Ucraina. Certo le intenzioni e le aspettative di Putin erano di concludere in tempi brevi la riannessione di tutta l’Ucraina sotto l’influenza ex sovietica: una ripetizione del rapporto subordinato che la Bielorussia fornisce al Cremlino.; ed in effetti il piano è ancora quello: instaurare a Kiev un governo filorusso, che possa garantire che l’Ucraina mantenga l’assoluta distanza da Unione Europea ed Alleanza Atlantica. Malgrado però la soverchiante superiorità dell’apparato militare la Russia fatica, sul piano internazionale appare isolata e con prospettive economiche interne devastanti, i paesi europei ed occidentali si sono ricompattati, superando le reciproche differenze ed arrivando ad accogliere in maniera massiccia i profughi, disinnescando così le intenzioni del Cremlino di favorire i contrasti interni sull’immigrazione, anche se hanno avuto un tempo di reazione troppo elevato di fronte al rincorrersi degli eventi e perfino la Cina appare più cauta nell’appoggiare Putin, per non urtare la suscettibilità commerciale del mercato più ricco del mondo. Da parte loro gli ucraini, pur con tutte le difficoltà contingenti stanno opponendo una resistenza che la Russia non aveva previsto, anzi il Cremlino si attendeva per le sue truppe una accoglienza da liberatori. L’insieme di queste risposte dalle controparti, sommate alle evidenti valutazioni errate, se nell’immediato possono portare a valutazioni positive, non possono però impedire di analizzare quali saranno le possibili prossime mosse di Putin. Se si parte da una analisi dell’inquilino del Cremlino, risulta difficile pronosticare una via di uscita che si configuri come una confitta politica, cioè potrebbe anche non bastare un accordo che consenta alla Russia la cessione dei territori del Donbass ed anche della fascia costiera fino ad Odessa. Putin è stato chiaro non intende fermarsi, perché considera l’Ucraina parte della Russia e questa ammissione costituisce il suo programma finalmente esplicato in modo chiaro. La concessione dell’apertura dei corridoi umanitari per fare fuggire i civili apre scenari oltremodo inquietanti, che precludono, appunto, a ciò che è accaduto in Siria ed in particolar modo nelle battaglie per la conquista di Aleppo. Proprio in quella occasione, dopo l’abbandono della città della maggior parte dei suoi abitanti, i russi, una volta entrati diedero sfoggio di particolare violenza ed ora, forti di quella esperienza acquisita sul campo, il destino di Kiev appare quello. D’altra parte arrivare almeno fino alla conquista della capitale ucraina ha, per Putin, il significato della vittoria del conflitto, mentre per il resto dell’Ucraina, la parte verso occidente al confine con la Polonia, una operazione militare paragonabile a quella attuale è più difficile, ma per il Cremlino, probabilmente basterà arrestarsi a Kiev. Sull’occidente una eventuale conquista di Kiev da parte dei russi, oltretutto ottenuta con modi particolarmente efferati, potrebbe provocare una reazione di difficile previsione. L’avvicinarsi ai confini dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, del nemico russo, che oltretutto minaccia direttamente i paesi baltici e si oppone all’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia, oltre che nell’Unione Europea di Moldavia e Georgia, alzerebbe ulteriormente il livello dello scontro, che fino ad ora è stato limitato a sanzioni, seppure ingenti, ed a forniture militari per l’Ucraina. L’avvicinarsi del fronte verso la frontiera polacca e rumena avvicinerebbe sensibilmente l’inizio della terza guerra mondiale. Ormai è inutile recriminare sull’atteggiamento passivo di Unione Europea ed Alleanza Atlantica, che hanno perso otto anni in inutili discussioni, quando avrebbero potuto gestire differentemente la questione ucraina con soluzioni preventive in grado di contrastare i piani russi: ora è il momento di mettere in atto soluzioni in grado di contrastare Mosca, anche dal punto di vista militare e non solo politico. Certo ammettere subito Svezia e Finlandia dell’Alleanza Atlantica ed Ucraina, Moldavia e Georgia nell’Unione Europea costituirebbe una risposta politica equivalente ad un avvertimento chiaro a Mosca, ma senza una organizzazione militare ed una volontà di impegno diretto in casi come quello attuale lo spazio di manovra è limitato. Purtroppo è brutto dirlo ma l’opzione militare diventa sempre più una esigenza ed una eventualità più probabile.

Sull’Ucraina la Cina valuta il comportamento USA, per Taiwan e le contese commerciali

Che l’invasione dell’Ucraina sia avvenuta dopo la fine dei giochi olimpici cinesi non è stato un caso: Putin ha rischiato un fallimento dell’azione per le condizioni metereologiche avverse ai mezzi pesanti, pur di mantenere la promessa fatta al leader cinese ed in omaggio all’alleanza che si sta sviluppando tra i due paesi basata sugli scambi commerciali, in primo luogo sulla vendita del gas russo ai cinesi, ma soprattutto sull’intesa politica che si sta sviluppando circa il progetto di un nuovo ordine mondiale, basato su valori alternativi a quelli delle democrazie occidentali e fondato sulla repressione dei diritti civili. La mancata condanna cinese, peraltro scontata e largamente prevista, contro l’aggressione russa rappresenta una sorta di avvertimento per Taiwan, da sempre nelle mire del governo di Pechino, che sostiene il progetto di un’unica patria. Il momento potrebbe essere propizio per una invasione dell’isola, con gli stati occidentali impreparati all’azione di Putin a cui non hanno sostanzialmente opposto resistenza: tali condizioni potrebbero ripetersi anche per Taiwan, che nulla potrebbe, come nulla può Kiev, ad una invasione da parte di una potenza così manifestamente superiore. Esistono, però, delle controindicazioni pratiche per la Cina, che mettono in risalto delle differenze con la situazione che si sta sviluppando in Europa. La prima di tutte è che il principale obiettivo di Pechino continua ad essere la crescita economica ed i contraccolpi economici di una invasione ridurrebbero di molto il prodotto interno lordo cinese, sulla cui crescita si concentrano gli sforzi del governo comunista, anche in ragione della contrazione della crescita mondiale dovuta alla pandemia. Per quanto riguarda la guerra Ucraina, Pechino ha sostituito proprio la Russia come primo partner commerciale di Kiev per l’interessa che riguarda la via della seta e sicuramente non gradisce gli attuali sviluppi anche se, forse viene valutato che con un governo filorusso, potrebbe avere ancora maggiore libertà di movimento. Circa Taiwan alcuni mezzi di stampa funzionali alla propaganda governativa hanno definito l’isola il Donbass cinese, cominciando a preparare una sorta di giustificazione preventiva ad una eventuale invasione militare. Non vale neanche più credere che la Cina non oserà attaccare Taiwan per non intraprendere una azione di difficile gestione e con conseguenze non facili da pronosticare, proprio perché circa Putin si credeva la stessa cosa, ed è stata smentita in maniera clamorosa. E’ anche vero, però, che a differenza dell’Ucraina, a Taiwan sono presenti già militari americani, che rendono lo scenario più complicato nel caso di un attacco ed anche la presenza costante della marina americana, sia nella stessa Taiwan, che in Corea del Sud e Giappone presuppone un impegno militare diretto, che unito a presumibili sanzioni, potrebbe complicare molto più che a Putin una azione militare. Quello di un impegno diretto americano nella zona del Pacifico si spiega con la dottrina internazionale inaugurata da Obama di giudicare maggiormente importante, per gli Stati Uniti, il sud est asiatico, proprio in funzione delle vie di comunicazione delle merci ed a causa di ciò che è stata trascurata la Siria, c’è stato il disimpegno dal medio oriente e dall’Afghanistan e sostanzialmente anche dall’Europa, tuttavia sono legittimi sostanziosi dubbi sulla reale volontà e capacità di condurre un conflitto da parte dell’attuale presidente americano , che non pare  intenzionato ad intraprendere azioni militari. Sia come sia, la reazione americana sull’Ucraina sarà profondamente studiata da Pechino per intraprendere strategie, che non riguarderanno soltanto la potenziale invasione di Taiwan, ma anche i rapporti stessi con gli USA, soprattutto circa i dossier che hanno prodotto i contrasti più profondi tra i due paesi. Una apparente arrendevolezza degli americani, anche dal punto di vista delle sanzioni contro la Russia, potrebbe autorizzare Pechino a comportamenti sempre più spregiudicati nelle battaglie commerciali e nei rapporti con gli altri stati, sia europei che africani, dove la Cina punta a riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Per Washington un monito concreto per valutare molto bene le sue mosse e le loro conseguenze a livello globale e non solo limitate alla Russia.

Putin favorito dall’inconsistenza dell’Occidente

Alla fine i peggiori presagi si sono verificati: Putin ha mantenuto la sua condotta, basata su bugie e menzogne ed ha attaccato militarmente il paese ucraino, potendo contare su di una reazione occidentale, che definire timida è usare una espressione di cautela. Tutti le minacce di ritorsioni si sono rivelate ben poca cosa di fronte alla determinazione del Cremlino, che ha alzato ancora di più il livello delle minacce proprio contro le democrazie occidentali. Le condanne dei leader occidentali sono state parole di circostanza ed hanno rassicurato la Russia con la rassicurazione che alcun soldato occidentale opererà sul suolo ucraino, abbandonando, di fatto, Kiev al suo destino. Si tratta della logica conclusione dell’impegno americano sul fronte europeo, già ridotto a partire da Obama, una scelta legittima, ma che danneggia i principali alleati degli Stati Uniti, forse sul breve ma sicuramente nel medio periodo ed inficia la stessa leadership americana, non solo politica ma anche economica. La Russia ha agito in questa maniera perché non vuole l’Alleanza Atlantica sui suoi confini, ma conquistando l’Ucraina i confini si spostano fino alla Polonia ed ai paesi baltici, dove la presenza militare occidentale è ormai radicata. Il Cremlino sopporterà questa presenza o non la tollererà, come, peraltro Putin ha fatto capire più volte? Difendere materialmente l’Ucraina con una presenza preventiva dell’Alleanza Atlantica, dopo averla accolta al suo interno, poteva essere una azione di dissuasione, che poteva permettere negoziati in grado di trovare una convergenza, anche se basata probabilmente su di una sorta di equilibrio del terrore. Al contrario si è voluto scegliere la strada della cautela, che ha sconfinato nella pavidità e nella tutela degli interessi commerciali dell’Europa, che non ha mai voluto impegnarsi in una difesa attiva di sé stessa. Gli Stati Uniti, dopo l’errore enorme dell’Afghanistan, ripetono lo sbaglio di lasciare il campo ad avversari più agguerriti e determinati, scegliendo un disimpegno i cui effetti negativi si vedranno del tutto sul lungo periodo. Biden cancella tutte le impressioni positive che lo accompagnavano alla sua elezione e ripete, sebbene nei comportamenti in maniera più discreta, tutti gli insuccessi in politica estera del suo predecessore e passerà alla storia come uno dei peggiori presidenti americani, proprio al pari di Trump. Questo andamento viene da lontano ed è cominciato fin da Obama, ma un punto così basso, costituito dalla somma del caso afghano con quello ucraino, non era mai stato toccato dalla prima superpotenza mondiale. Il comportamento americano ha lasciato impreparata l’Europa e ciò non doveva accadere, ancora senza una politica estera ed una difesa comune, divisa al suo interno da stati non consoni di essere stati inclusi dentro l’Unione e divisa da interessi commerciali contrastanti tra i suoi membri; tra l’altro uno degli obiettivi collaterali di Putin, perseguiti con la guerra ucraina è proprio quello di aumentare le divisioni europee e contribuire alla creazione immediata di nuovi problemi tra gli stati membri, il primo dei quali sarà alimentato dal flusso crescente dei profughi provenienti dall’Ucraina. La Gran Bretagna, se possibile si è comportata ancora peggio, il premier inglese sembrava che volesse procedere a sanzioni oltremodo pesanti contro la Russia, ma poi ha deciso per una serie di misure che non colpiscono gli oligarchi presenti sul suo territorio perché portatori di ingente liquidità nell’economica britannica. Ora Putin ha ottenuto una vittoria prima di tutto politica, mettendo in mostra l’inconsistenza dell’Occidente, che potrebbe autorizzarlo verso obiettivi più elevati dell’Ucraina e non per niente il timore nelle repubbliche Baltiche ed in Polonia si è alzato di molto: le sanzioni elaborate colpiscono solo il 70% dell’economia russa e non la sua potenza militare e le minacce contro eventuali interventi al fianco di Kiev, sembra che hanno avuto gli effetti desiderati dal Cremlino   ed hanno evidenziato come il problema è certamente prima di tutto geopolitico ma immediatamente dopo investe i valori democratici, la sovranità degli stati, l’autodeterminazione dei popoli ed il rispetto del diritto internazionale, base minima di convivenza tra le nazioni. L’impegno per questi valori deve essere diretto e la loro difesa deve riguardare tutti gli stati che si fondano su di essi, per non incorrere loro stessi nella perdita di queste prerogative. Il contrario significherebbe tornare nella dittatura e nella negazione della democrazia, come sta accadendo all’Ucraina.

Le reazioni alla decisione di Putin di schierare le truppe nell’Ucraina orientale

Dopo la dichiarazione di Putin, che ha riconosciuto come indipendenti la Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, dichiaratamente filorusse e quindi formalmente sottratte alla sovranità di Kiev, l’Ucraina ha richiesto una riunione di urgenza del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, che per una curiosa coincidenza è stata presieduta proprio dalla Russia. La maggior parte dei membri del Consiglio hanno condannato sia il riconoscimento, che la successiva decisione di schierare truppe nell’area, che costituisce il primo passo dell’invasione del territorio ucraino, sebbene sia quello conteso tra Mosca e Kiev. Dal punto di vista di Putin il riconoscimento ufficiale autorizza l’appoggio dei militari russi agli insorti filorussi ed alle loro milizie, ma dal punto di vista del diritto internazionale costituisce una evidente violazione, che, peraltro, non è la prima operata dal Cremlino. Il fatto che Mosca definisca i propri soldati come peacekeeper aggrava il giudizio sulla Russia, che si nasconde in modo maldestro dietro a definizioni ipocrite, che oltrepassano l’ambiguità ed il buon gusto. La seguente dichiarazione di Washington apre ad una serie di sanzioni senza precedenti, che coinvolgerà tutti gli alleati degli USA e le cui conseguenze si annunciano molto pesanti per l’economia mondiale e gli equilibri generali. Nell’immediato la volontà di Putin è quella di assicurarsi una zona cuscinetto tra la Russia e l’Ucraina, per evitare di avere sull’immediato confine russo la presenza dell’Alleanza Atlantica, anche se l’ingresso di Kiev è stato più volte smentito da Bruxelles, tuttavia l’accelerata del Cremlino potrebbe cambiare la situazione: fino ad ora l’Alleanza Atlantica ha smentito di avere in programma di accettare il paese ucraino tra i suoi membri, ma questa evoluzione apre ad ogni possibile sviluppo. L’azzardo di Putin minaccia, però, la consistenza economica del paese russo, che difficilmente potrebbe resistere alle sanzioni preventivate, aprendo scenari che potrebbero consistere in un drastico calo della sua popolarità in Russia. Abbastanza prevedibili le posizioni degli alleati degli Stati Uniti, concordi della concreta possibilità che si stiano creando le condizioni per un conflitto quasi globale; la quasi totalità ha espresso giudizi di condanna sulla violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina e per la violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite. Il rappresentante della Russia alle Nazioni Unite, al contrario, ha sostenuto la decisione di Mosca per tutelare l’etnia russa dei territori riconosciuti e di come il riconoscimento sia stato a lungo ponderato ed ha invitato le potenze occidentali a non abbandonare la soluzione diplomatica. L’Ucraina, da parte sua, ha ribadito la sovranità sui propri territori ed ha praticamente sfidato la Russia, in uno scontro che non pare in grado di sostenere. Molto più attenuata la posizione della Cina, che malgrado la vicinanza più volte espressa alla Russia, non deroga dai propri principi in politica estera, scegliendo una sorta di equidistanza e raccomandando alle parti in causa la massima prudenza e l’intensificazione dell’azione diplomatica. Aldilà dell’avversione agli Stati Uniti ed il gradimento della politica russa, Pechino dimostra di temere maggiormente i contraccolpi di una crisi economica a livello globale, che potrebbe mettere in pericolo la crescita cinese; tuttavia la scelta di non recitare un ruolo da protagonista, soprattutto per incrementare una azione pacificatrice, da parte di Pechino, rivela come la Cina sia ancora ben lontana da diventare quella grande potenza a livello globale, che dice di volere diventare. L’occasione di recitare un ruolo da protagonista, senza essere al fianco di una delle due parti, ma soltanto in favore della pace, poteva costituire una prova vista con favore da tutte le angolazioni, anche nel caso di mancata riuscita, viceversa questo atteggiamento pavido rivela tutta l’inesperienza e la mancanza di capacità di rischio del governo di Pechino, che resta troppo legato agli aspetti economici a discapito di quelli di politica internazionale. Il presidente Biden ha espressamente ordinato di vietare ogni tipo di finanziamenti, investimenti e transazioni commerciali con le aree invase dalla Russia e ciò rappresenta, senz’altro, la prima soluzione che precederà le ben più pesanti sanzioni già minacciate e previste per l’atteggiamento deciso dalla Russia. Di seguito cosa possa accadere è difficilmente pronosticabile.

Cina e Russia verso una alleanza contro gli USA

Russia e Cina sembrano sempre più vicini ed il loro legame si rinsalda grazie al nemico comune, gli Stati Uniti. Se Mosca evitare l’allargamento dell’Alleanza Atlantica è diventato una esigenza nazionale, per Pechino il contenimento di Washington sul piano internazionale diventa un programma ancora più ambizioso, perché è il chiaro segnale di contenere gli USA, utilizzando anche una questione apparentemente lontana e senza importanza strategica per gli interessi cinesi. Sembra che la direzione intrapresa sia quella di una alleanza sempre più stretta tra le due superpotenze, che hanno interessi coincidenti per unirsi contro gli americani. Appare particolarmente significativo che il primo incontro in presenza, da oltre due anni, con un leader straniero, Xi Jingping lo abbia riservato proprio a Putin nel momento di massima tensione della Russia con gli Stati Uniti e forse alla vigilia di una possibile invasione dei militari di Mosca in Ucraina. Alla base di questa collaborazione sempre più intensa, non vi è solo l’avversione agli Stati Uniti, ma anche una più ampia convergenza contro i moti popolari in nome di maggiori garanzie a favore dei diritti, che hanno contraddistinto i due paesi. Una visione nettamente opposta agli ideali democratici occidentali, che si pone come un vero e proprio scontro di civiltà, capace di portare grande instabilità nel mondo. Sia Mosca che Pechino, sono stati condannati più volte dall’occidente, per il loro atteggiamento antidemocratico, che hanno perpetrato con repressioni di massa e lotta violenta contro il dissenso: per questo comune atteggiamento nella politica interna verso gli oppositori, un reciproco sostegno, inquadrato come legame internazionale, serve a giustificare il loro operato proprio sulla scena mondiale. Per la Cina la vicinanza della Russia riveste anche un particolare significato, perché Mosca riconosce il diritto cinese a rivendicare una sola Cina, contro quindi le aspirazioni di Taiwan, peraltro sempre più vicino agli Stati Uniti per ovvi motivi di necessità. La versione ufficiale del progressivo avvicinamento dei due paesi è la realizzazione del vero multilateralismo, cioè una collaborazione paritaria dei due paesi ad una alleanza più stretta, che sembra sempre più prossima; tuttavia l’alleanza tra Cina e Russia non potrà che essere asimmetrica più il tempo andrà avanti. Esiste un evidente vantaggio di posizioni tra Pechino e Mosca, a tutto vantaggio per la prima, sia dal punto di vista economico, dove Mosca non può competere con la differenziazione produttiva cinese, perché ha ancora una economia basata esclusivamente sulle risorse naturali, sia dal punto di vista militare, che da quello geopolitico. L’impressione è che Mosca sia ben conscia di questa differenza, che nel futuro potrà creare attriti non da poco, ma, al momento, abbia la necessità di avere al suo fianco il maggiore paese in grado di contrastare gli Stati Uniti, soprattutto nel caso di un effettivo intervento militare nel paese ucraino. Certo anche economicamente Mosca deve garantirsi mercati alternativi di fronte alla possibilità di incorrere in sanzioni economiche ed a questo scopo ha aperto all’aumento della quantità di gas destinato proprio alla fornitura della Cina. Sebbene questa possibile alleanza apra a scenari di forte preoccupazione, si può leggere anche come una necessità dei due stati di sorreggersi simultaneamente e di evitare una sorta di isolamento, che stanno già patendo per le loro azioni repressive all’interno delle loro nazioni. La riprovazione internazionale, maggiormente proveniente dalla parte occidentale, ma non solo, è una fonte di grande preoccupazione, soprattutto per la Cina e le ricadute economiche che l’ostracismo verso Pechino può produrre. Per la Russia è molto sentita la necessità di potere contare su alleanze con altri paesi e la prossima tappa potrebbe essere rappresentata dall’Iran, tuttavia si tratta di una tattica che accentua il legame con stati dove la repressione è la politica di comune esercizio e ciò non fa che allontanare Mosca dall’Europa il partner economico di cui ha maggiore bisogno, per risollevare la propria economia disastrata, anche se il legame energetico con i paesi dell’Unione appare di difficile dissoluzione, per le reciproche necessità. Più preoccupante sarà vedere la reazione degli Stati Uniti: le conseguenze che si rischiano di generare sono fortemente preoccupanti, non solo per dossier ucraino, ma anche per quello di Taiwan e per lo stesso nucleare iraniano.   

Il ritiro dei russi dal Kazakistan non è troppo sicuro

L’attuale presidente del Kazakistan ha affermato che la situazione del paese è ritornata ad essere normale ed ha nominato un nuovo primo ministro, che non ricade sotto l’influenza del precedente presidente. La stabilizzazione del paese dovrebbe portare al ritiro delle truppe straniere presenti sul territorio kazako, facenti parte dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, a cui aderiscono: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Le proteste erano iniziate il 2 Gennaio per l’aumento dei combustibili ed avevano svelato lo stato di profonda crisi sociale, politica ed economica del paese, sintomo di un malcontento generalizzato che si è manifestato in grandi proteste, stroncate violentemente dalle forze di polizia, a cui era stato concesso di sparare direttamente sulla folla. Le manifestazioni erano state derubricate in episodi di terrorismo su mandato di non bene individuate potenze straniere e sono state funzionali all’azione russa di ribadire che il paese kazako non poteva allontanarsi dall’influenza di Mosca, che, peraltro, temeva una ripetizione del caso ucraino. La repressione dei manifestanti è stata benedetta da Pechino, come mezzo per eliminare le proteste, forse un tentativo di giustificare per analogia, la propria azione ad Hong Kong e contro la popolazione musulmana cinese. Il presidente del Kazakistan ha evidenziato la necessità dell’intervento delle truppe russe e degli altri paesi alleati, per ristabilire l’ordine nel paese contro la pericolosa minaccia terroristica, non bene identificata, che minacciava di conquistare il centro economico principale del paese, Almaty; cosa che avrebbe provocato, come conseguenza, la perdita del controllo dell’intero Kazakistan. Secondo il presidente kazako le truppe straniere alleate dovrebbero abbandonare il paese entro dieci giorni. In realtà sarà interessante verificare se queste tempistiche saranno rispettate: il timore russo di una deriva del paese verso l’occidente non sembra collimare con un ritiro repentino delle truppe di Mosca, soprattutto dopo lo sforzo profuso per la repressione della protesta kazaka; una permanenza di soli dieci giorni non permetterebbe un efficace controllo dell’evoluzione di una situazione di malcontento che rappresenta ben più di una insoddisfazione economica. Definire la protesta come una emanazione studiata di un piano terroristico, senza indicarne espressamente i mandanti, significa definirla come una sorta di tentativo di sovvertimento del paese dall’interno. Che queste pulsioni siano del tutto vere ha poca importanza per la Russia, che deve ribadire il controllo pressoché totale su quella che viene ormai definita la propria area di influenza, ben delimitata e assolutamente non più soggetta a variazioni negative. Del resto lo stesso Putin ha avvallato la teoria terroristica del presidente kazako, come giustificazione all’intervento armato da lui stesso progettato. Sul totale dei 2.300 soldati impiegati, il fatto che la maggioranza fosse russa appare alquanto significativo; tuttavia le reali esigenze del paese sono ben presenti al nuovo governo del Kazakistan, che intende promuovere programmi tesi a favorire l’incremento dei redditi ed a rendere più equo un sistema fiscale dove sono presenti pesanti diseguaglianze; però di pari passo con questi propositi, viene programmato un aumento degli effettivi di polizia ed esercito per tutelare maggiormente la sicurezza del paese. Questi propositi sembrano smentire l’ipotesi terroristica, usata soltanto per la conservazione del regime e l’intervento russo, ma ammettono la presenza delle difficoltà di ordine interno, difficoltà che potrebbero, potenzialmente, rendere possibile l’allontanamento dall’area di influenza russa, soprattutto in presenza di una svolta democratica, tentativo in precedenza più volte represso a livello locale senza interventi esterni. La necessità dell’aiuto russo dimostra quanto il paese abbia le capacità e la volontà di cercare una alternativa alla situazione presente. Queste premesse pongono il paese kazako al centro dell’attenzione non solo dello scontato interesse russo, ma anche dell’occidente e del mondo intero, perché può destabilizzare la regione ed il controllo russo; ciò implica un nuovo fronte di possibile attrito con gli USA, non certo disposti ad accogliere il monito di Mosca in chiave anti ucraina, dove la tensione è destinata, anche per questo precedente, ad arrivare ad una situazione limite.

Biden minaccia la Russia di sanzioni, in caso di invasione dell’Ucraina

La linea americana, nei confronti della Russia era già stata tracciata, tuttavia il presidente Biden si è consultato con i suoi alleati di Regno Unito, Francia, Germania ed Italia prima di avvertire Putin che una eventuale invasione dell’Ucraina provocherebbe una ritorsione molto dura nei confronti della Russia, con conseguenze molto rilevanti sul piano dell’economia determinate da un piano di sanzioni coordinate dai paesi occidentali. La questione riporta al centro l’attività dell’Alleanza Atlantica la zona dell’Europa orientale, a causa dell’attivismo russo sempre più improntato ad un nazionalismo che non è disposto a tollerare l’invasione del proprio spazio vitale. L’avvicinamento di Kiev, sia all’Unione Europea, sia all’Alleanza Atlantica, è percepito come una minaccia della sicurezza russa, che considera il potenziale stanziamento di truppe dell’Alleanza Atlantica sui suoi confini, come una vera e propria provocazione. Per Mosca sarebbe opportuno che l’Ucraina ricadesse sotto la propria influenza o, in via secondaria, che il paese ucraino mantenesse almeno una sorta di neutralità; entrambi le soluzioni non possono essere congeniali a Kiev proprio per i comportamenti precedenti della Russia: intromissioni degli affari interni, invasione della Crimea e conflitto del Donbass, questi ultimi condotti da Mosca con mezzi subdoli, senza mai esporsi direttamente. Per Kiev l’unica maniera di tutelarsi è cercare una protezione da USA ed Europa, tutela, che, però, non può essere troppo esplicita, come l’ammissione nell’Alleanza Atlantica o nella Unione Europea, per non scatenare un aperto conflitto tra Washington, Bruxelles e Mosca. Gli USA non possono impegnarsi in maniera troppo diretta perchè considerano prioritario il fronte aperto con la Cina, diventato ormai centrale nella politica estera statunitense, proprio a scapito di quello europeo, tuttavia l’attivismo russo non può più essere tollerato perchè potrebbe mettere in discussione gli attuali assetti nell’Europa orientale. Dal punto di vista militare, per ora gli USA non intendono aggiungere effettivi ai soldati già presenti in Polonia, ma ha assicurato supporto materiale in caso di aggressione russa. Secondo i dati dei servizi segreti americani, l’intenzione di Putin sarebbe quella di schierare al confine ucraino circa 175.000 militari russi, che potrebbero iniziare l’invasione del paese ucraino all’inizio del 2022, anche se questa ipotesi è ritenuta soltanto potenziale e potrebbe rappresentare una minaccia funzionale per ottenere altri vantaggi, anche non direttamente connessi con la questione ucraina. Il dissidio tra Biden e Putin non è cosa recente, anche se durante l’invasione della Crimea, con Obama presidente e Biden vice, gli USA non opposero resistenza, il comportamento del Cremlino non è stato certo gradito, anche perchè la linea di condotta di contrasto di avvicinamento dell’Ucraina all’occidente è continuata fomentando le istanze separatiste della popolazione ucraina di origine russa, con azioni militari non dichiarate. Putin e la Russia, poi, hanno intrapreso una azione di tipo informatico, screditando la Clinton, per favorire l’elezione di Trump nel 2016, ritenuto più funzionale agli interessi russi sul piano internazionale. Biden, inoltre, ritiene che Putin abbia praticato l’omicidio in quanto mandante di avvelenamenti di oppositori e per la repressione del dissenso, tanto da evitare di invitarlo al grande vertice delle democrazie, al pari di Cina, Egitto, Turchia, Ungheria, Cuba, Venezuela, El Salvador e Guatemala. I rapporti tra i due leader, quindi, sono molto tesi, ma sono anche obbligati, non solo per l’Ucraina, ma anche per il problema del nucleare iraniano, per il terrorismo e per gli stessi delitti informatici, che sono diventati una minaccia internazionale. Il recente incontro in teleconferenza, pur avvenuto in maniera cordiale, non ha determinaot avvicinamenti tra le due posizioni: gli USA hanno confermato le minacce di dure sanzioni in caso di invasione dell’Ucraina, la Russia ha accusato gli Stati Uniti di portare avanti una politica di progressiva annessione di Kiev attraverso l’azione dell’Alleanza Atlantica. Washignton ha mantenuto la sua posizione circa la libertà di scelta dell’Ucraina di potere aderire liberamente all’Alleanza Atlantica, questione che potrebbe essere fondamentale per evitare l’invasione, dato che sarà probabilmente nell’immediato futuro la condizione di veto che porrà Putin per scongiurare l’escalation militare.

Biden e Xi Jinping si incontrano per ridurre i contrasti

Dopo due incontri telefonici Joe Biden e Xi Jinping avranno una riunione bilaterale, seppure in teleconferenza, che rappresenterà l’incontro diplomatico più importante dell’anno tra le due maggiori potenze internazionali. La crescente tensione tra i due stati condizionerà, probabilmente, questo vertice, tuttavia la necessità di arrivare ad una convivenza soddisfacente, seppure provviaioria, per entrambe le parti, dovrebbe costituire la strada per potere arrivare a quelle soluzioni minime condivise in grado di scongiurare potenziali crisi. Per il presidente degli Stati Uniti sarà la prima volta che incontrerà il suo omologo cinese da quando è stato eletto, malgrado i due leader si conoscano per precedenti incontri, quando Biden ricopriva la carica di vicepresidente americano. I temi sul tavolo restano sempre gli stessi: le reciproche relazioni commerciali ed economiche, la crescita militare cinese e le ambizioni geopolitiche di Pechino, che impediscono la necessaria collaborazione tra i due paesi più importanti del pianeta. La politica estera americana nei confronti della Cina, condotta dalla precedente amministrazione della Casa Bianca, ha operato una mistura di aggressività ed apertura, che segnalava l’evidente dilettantismo di Trump, impegnato, per lo più, a risolvere lo squilibrio commerciale favorevole al paese cinese. Con la presidenza Biden si sperava in un approccio differente, in grado di appianare le differenze attraverso una azione diplomatica accurata: ma così non è stato; il nuovo inquilino della Casa Bianca, non solo ha mantenuto le posizioni del suo predecessore, ma ha inasprito ancora di più i toni ed ha messo la questione cinese al centro della sua politica estera. La reazione della Cina, non poteva essere altrimenti, è stata quella di porsi sullo stesso piano dell’azione americana e ciò ha provocato una successione di dazi, sanzioni e notevole aggressività dialettica, che hanno provocato una situazione di costante tensione, non certo propizia ad una distensione necessaria, sopratutto in questo momento storico. Bisogna riconoscere che le ragioni statunitensi sono , però, oggettive: le ripetute violazioni dei diritti umani in Tibet e contro i musulmani cinesi, la repressione di Hong Kong, la volontà espansionista e gli attacchi informatici contro gli Usa ed altri paesi occidentali, costituiscono  delle valide ragioni per giustificare il risentimento americano; però entrambi i paesi hanno bisogno l’uno dell’altro: gli USA sono il principale mercato per la Cina e per raggiungere risultati apprezzabili per il clima è necessaria la partecipazione attiva di Pechino. Tra le due superpotenze, la questione di Taiwan è quella maggiormente urgente: una invasione da parte della Cina, che considera l’isola rientrante sotto la propria sovranità, metterebbe a rischio la pace mondiale e con essa i profitti derivanti dai traffici comerciali: questa ragione è, per il momento, la migliore assicurazione sulla pace a favore del mondo intero, ma un sempre possibile incidente, derivante dalle continue esercitazioni militari o dalla presenza delle marine da guerra nello stretto di Formosa, può causare potenziali situazioni irreparabili; sopratutto perchè connesso con questa questione vi è lo sviluppo nucleare cinese, che costituisce l’emergenza militare maggiore per gli USA. La regione indo-Pacifica rischia di diventare il teatro di un riarmo mondiale capace di fare cambiare gli equilibri attuali, portando o, megli, riportando il pianeta ad uno stato di fatto, dove la strategia della tensione e dell’equilibrio nucleare, minacciano di essere il fattore determinante delle relazioni internazionali. Il rischio è concreto, ma la ripetizione dell’equilibrio del terrore non avrebbe più un connotato di relazione ad esclusivo doppio confornto, ma potrebbe provocare un confronto multilaterale, dato dalla disponibilità dell’arma atomica a più di due soli soggetti internazionali. Innescare una corsa al riarmo atomico diffusa, significherebbe mettere in costante apprensione la pace mondiale e, di conseguenza, i traffici ed i commerci. Su questa base, conveniente alle due superpotenze e non solo, Washington e Pechino potrebbero trovare punti di intesa interessanti per sviluppare una relazione, se non proprio di amicizia, almeno di reciproca convivenza, tale da garantire una adeguata sicurezza alle relazioni diplomatiche, base necessaria per la convivenza pacifica comune. Per raggiungere questo obiettivo saranno necessari atteggiamenti pragmatici e pratici ed una elasticità, che solo una grande perizia negli affari diplomatici, potrà garantire.