L’Alleanza Atlantica incrementa la sua Forza di intervento rapido

Il vertice dell’Alleanza Atlantica di Madrid si annuncia come quello più difficile della sua storia; finito il dualismo della guerra fredda, con un mondo bipolare, che si basava sull’equilibrio del terrore, l’accelerazione dell’evoluzione contingente obbliga l’alleanza militare occidentale a pensare ed agire in maniera preventiva e più incisiva di una volta. La deterrenza nucleare non basta più in uno scenario dove si è tornati a modelli di guerra tradizionale, che non si immaginava più potessero verificarsi. Se sullo sfondo resta la questione cinese e quella del terrorismo islamico, che sta sfruttando la maggiore attenzione sulla guerra ucraina per riguadagnare consensi tra le popolazioni sempre più povere, l’urgenza di contenere la Russia è la questione più urgente, sia dal punto di vista politico, che da quello militare. Una eventuale affermazione di Mosca creerebbe un precedente deleterio per la scena mondiale, con il mancato rispetto del diritto internazionale come metodo di affermazione dei progetti degli stati più forti: significherebbe un concreto pericolo per le democrazie, con governi sempre più obbligati a risposte rapide e non mediate dalla logica parlamentare e, di conseguenza, ancora più delegittimati. La tentazione di esecutivi quasi autocratici sarebbe un logico risultato in una situazione dove l’assenteismo e la sfiducia del corpo elettorale segnalano un progressivo distacco dalle istituzioni. Non è impossibile che all’interno del progetto di Putin, un risultato accessorio al risultato della riconquista dell’Ucraina, sia proprio quello di indebolire le democrazie occidentali, obiettivo, peraltro, percorso più volte con l’intrusione degli hacker russi, sia in fase di ricorrenza elettorale, sia nel tentare di indirizzare verso i sovranismi il gradimento delle opinioni pubbliche occidentali. In questo quadro generale, che è forse meno urgente della guerra in atto, ma è ugualmente importante, l’Alleanza Atlantica intende prendere come ulteriore misura per contenere Mosca, oltre a continuare a rifornire di armi sempre più sofisticate Kiev, cambiare profondamente l’assetto della forza di intervento rapido, che passerà da 40.000 a 300.000 unità; ciò non vuole dire, per ora, che tutti gli effettivi saranno concentrati nelle zone limitrofe alla Russia, tuttavia, la richiesta di protezione attiva da parte dei paesi baltici e di Polonia, Romania e Bulgaria, in questa fase determina un incremento dei soldati dell’Alleanza in questi territori, oltre ad una capacità di mobilitazione maggiore in caso di bisogno. In termini pratici non si tratta di reclutare nuove unità di militari, ma di contribuire con soldati già addestrati, appartenenti agli eserciti nazionali che compongono l’Alleanza Atlantica, e pronti al combattimento con un sistema di presenze a rotazione. Dal punto di vista politico si tratta di un chiaro segnale a Putin, che vede così incrementare la presenza degli avversari proprio sui confini russi: un risultato ottenuto soltanto con i suoi calcoli completamente errati: quello che occorrerà verificare sarà se il Cremlino saprà contenere la propria contrarietà senza eccedere con le provocazioni: la probabilità di un incidente sarà sempre più possibile se Mosca continuerà a sorvolare con i suoi mezzi aerei i cieli dei paesi baltici. Al punto in cui si è sviluppata la situazione militare in Ucraina, la misura adottata dall’Alleanza Atlantica appare necessaria ma avvicina ancora di più un potenziale scontro con le forze militari russe, anche perché da Mosca procedono a fare coincidere gli incontri dei leader occidentali con atti completamente al di fuori delle normali logiche militari, come colpire in maniera indiscriminata obiettivi di esclusiva natura civile, provocando morti e devastazione gratuite, che hanno il solo scopo di terrorizzare la popolazione ucraina, ma anche di rendere pubblica la minaccia verso gli occidentali. Se questa pratica tragica, rivela una debolezza intrinseca della Russia, sia militare, che politica, l’impressione è che Putin si sia reso conto di non potere portare a termine il proprio obiettivo e che quindi intensificherà la violenza malgrado tutto: si tratta di una tattica già sperimentata in Siria, dove però gli avversari erano molto più deboli e meno organizzati; se la forza militare russa è stata sopravvalutata dallo stesso Cremlino, ciò potrebbe portare a rifiutare ogni compromesso verso la pace trascinando l’occidente in guerra in  maniera deliberata, proprio perché Putin, a questo punto, non può permettersi di uscire sconfitto. Agli USA va ascritto, comunque, un errore analogo a quello di non essere intervenuti in Siria, cioè quello di non avere coinvolto l’Ucraina nell’Alleanza Atlantica o in qualche altra forma di protezione: Putin, in quel caso, probabilmente non si sarebbe mosso.

Il problema del grano ucraino usato dalla Russia per i suoi fini.

La speculazione sul grano ucraino, per diminuire le carenze delle riserve dei paesi africani, nasconde una serie di problematiche che la rendono funzionale ad una serie di interessi contrastanti, non solo delle parti in causa, ma anche di attori internazionali, come la Turchia, che perseguono proprie finalità. La stampa russa dice che Mosca ed Ankara, grazie all’intervento di mediazione delle Nazioni Unite, avrebbero raggiunto un preliminare accordo per permettere l’esportazione del geno di Kiev attraverso un corridoio marittimo con partenza dal porto di Odessa. La prima condizione posta è lo sminamento del porto di Odessa, formalmente per garantire la massima sicurezza alle navi in uscita verso il Mar Nero, tuttavia l’intenzione del Cremlino appare evidente: liberare dalla minaccia degli ordigni marini il litorale di Odessa per preparare e favorire uno sbarco dei militari russi; inoltre un’altra regola imposta da Mosca è quella di ispezionare le navi mercantili per evitare eventuali trasporti di armi per le forze armate ucraine. I timori di Kiev non possono essere altro che fondati, Putin intende usare le future carestie in maniera strumentale per rimuovere le legittime difese ucraine di Odessa, si tratta di un metodo usato più volte dal Cremlino, che ormai è totalmente inattendibile sulle proprie promesse. Anche la Turchia di muove in maniera analoga: la pessima situazione economica impone strategie di distrazione verso il popolo turco, l’attivismo internazionale è funzionale a coprire la pessima amministrazione dell’economia del paese, per cercare una rilevanza diplomatica, che serve anche a coprire la sconfitta morale data dalla volontà statunitense di includere nell’Alleanza Atlantica i paesi di Svezia e Finlandia, a cui Ankara è contraria perché li ritiene rifugio di curdi. L’appoggio turco nel negoziato sul grano è fondamentale per un paese ormai isolato sulla scena internazionale come la Russia e proprio attraverso Ankara, Mosca cerca anche di addossare un eventuale fallimento del progetto all’opposizione dell’Ucraina, certamente non convinta dall’eventualità di sguarnire Odessa dalle difese marittime, in questo caso per il Cremlino sarebbe una naturale conseguenza addebitare la responsabilità a Kiev del mancato rifornimento di cereali verso i paesi africani; anche se l’evidenza dei fatti è sotto gli occhi di tutti occorre ricordare che gran parte dei paesi africani ed asiatici non hanno preso una posizione ufficiale contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina e probabilmente non riconoscerebbero la responsabilità russa delle mancate forniture di grano. Insieme a questa tattica, Putin sostiene che non può ricadere sull’operazione militare speciale la colpa del deficit alimentare, ma che ciò, oltre ad essere iniziato con l’epidemia del corona virus, è da addebitare alle sanzioni occidentali a carico della Russia. I numeri delle mancate esportazioni dicono, però, tutt’altro: l’Ucraina, prima del conflitto, deteneva una quota di mercato pari al dieci per cento del totale mondiale di grano e mais, una quota molto rilevante in una congiuntura alimentare globale già difficile a causa di scarsità delle acque per irrigazione e carestie. Attualmente sono 22,5 milioni di tonnellate di cereali, che sono bloccate da quando è cominciato il conflitto. I mezzi che consentono di fare uscire dal paese le derrate alimentari sono soltanto quelli su rotaia, specialmente attraverso la Polonia, ma esistono difficoltà oggettive che ne limitano i quantitativi di trasporto, tra cui la ridotta capienza dei treni e lo scartamento ridotto delle ferrovie ucraine, che costringe ad effettuare il trasbordo dei cereali, una volta arrivati in Europa. Il presidente ucraino ha previsto che, in caso di continuazione del conflitto, la quantità di cereali bloccati, potrebbe salire in autunno a circa 75 milioni di tonnellate ed ha ammesso che sono necessari corridoi marittimi per l’esportazione: al momento i colloqui di Kiev sull’argomento sono in corso non solo con la Turchia e Nazioni Unite, ma anche con Regno Unito, Polonia e nazioni baltiche, proprio per ridurre il trasporto su rotaia. Resta, comunque, l’assenza di un dialogo con la Russia, che, nemmeno, la gravità del problema della fame nel mondo, riesce a sbloccare. Al contrario, proprio questo argomento poteva costituire una base di partenza per sviluppare un discorso comune per avviarsi sulla strada, se non della pace, almeno del cessate il fuoco, ma la tracotanza russa ancora una volta ha mostrato la sua vera intenzione di non fermarsi di fronte a nulla per raggiungere i propri obiettivi illegali, secondo i principi del diritto internazionale.

Il mancato rispetto dei diritti umani come possibile legame tra Cina e Russia

La visita in Cina dell’Alto Commissario per le Nazioni Unite per i diritti umani, l’ex presidente del Cile Michelle Bachelet, ha messo in evidenza come Pechino intende il rispetto per i diritti umani e civili. L’occasione è stata il viaggio per cercare di accertare il trattamento che riceve l’etnia degli uiguri, minoranza cinese di fede musulmana, che è oggetto di rieducazione da parte delle autorità cinesi. L’indagine conoscitiva è stata dovuta alle ripetute denunce delle Organizzazioni non governative, che hanno segnalato ripetuti episodi di violenza e sopraffazione da parte delle forze di polizia; in special modo sono stati segnalati casi di repressione riguardanti numerose persone incarcerate tra cui bambini. Il regime carcerario è improntato ad una durezza inaudita, che comprende violenze psicologiche e fisiche, che, spesso, portano alla morte di persone, la cui unica colpa è quella di non integrarsi con il volere del regime cinese. Le accuse sono spesso pretestuose e costruite e prive di presupposti giuridici, nemmeno quelli della legislazione cinese. Questa lotta di Pechino contro gli uiguri si protrae da tempo e mira ad azzerare la cultura musulmana cinese, interpretata come alternativa alle finalità del partito comunista e della nazione cinese. Pechino giustifica le carceri dove vengono imprigionati gli uiguri, come centri di formazione professionale, dove il lavoro coatto delle persone incarcerate è sfruttato a costo zero per produzioni destinate anche al mercato occidentale. Ufficialmente la Cina sostiene che la gran parte di queste strutture ha cambiato destinazione o, addirittura, è stata chiusa, ma, secondo diverse Organizzazioni non governative straniere, starebbero ancora assolvendo la loro funzione originaria di prigioni per riprogrammare il popolo uiguro. L’affermazione del presidente cinese circa questa situazione, anche lo Xinjiang, la terra degli uiguri, non è stato menzionato è che lo sviluppo dei diritti umani in Cina è conforme alle condizioni nazionali. Questa affermazione implica un relativismo a proprio uso e consumo della Cina, riguardo un tema che non dovrebbe ammettere deroghe, per lo meno sugli standard minimi di base circa le libertà personali, i diritti civili e la libertà di esercitare le proprie idee politiche e religiose. Ovviamente la Cina è una dittatura autoritaria e non può permettere tali libertà, proprio perché minacciano l e basi stesse del potere del paese; piuttosto quello che si deve intendere come condizioni nazionali è la libertà di produrre e consumare, sempre nel rispetto di quanto voluto dallo stato; tutto ciò riporta all’importanza di sussistenza e sviluppo come unici diritti effettivi concessi dal partito comunista. Andare oltre questa visione significherebbe, appunto, arrivare a conseguenze disastrose per l’impianto statale cinese: replicare modelli di altri paesi viene visto come una minaccia per l’ordine costituito. Ora queste affermazioni non rappresentano alcuna novità, la mancata e funzionale considerazione del governo cinese per il rispetto dei diritti civili è risaputa, tuttavia dopo la tragica ed attuale esperienza ucraina, i rapporti con uno stato, che seppure è una superpotenza economica, andrebbero rivisti da parte dei paesi occidentali; in più il progressivo avvicinamento di Pechino a Mosca, nonostante l’aggressione a Kiev in aperta violazione di ogni norma di diritto internazionale, potrebbe favorire un inasprimento ulteriore del Cremlino, proprio sulla instaurazione dei metodi repressivi cinesi collegati alla possibile dichiarazione della legge marziale. Si verrebbero a creare i presupposti, già molto vicini, di due stati, dove i diritti civili sono fortemente trascurati, in grado di sostenersi reciprocamente ed estendere questa contiguità a motivi di ordine internazionale. La questione di Taiwan è già stata accostata per similitudine alle rivendicazioni russe su Crimea e territori ucraini al confine con Mosca. Per Cina e Russia la legittimazione del conflitto contro l’occidente assumerà il significato di giustificare la negazione delle democrazie, non solo in quanto tali, ma proprio come portatrici del rispetto dei diritti civili e politici, che rappresentano gli ostacoli per la legittimazione delle forme di stato autoritario. L’unica alternativa per l’occidente è creare una maggiore autonomia industriale ed energetica, sul lungo periodo ed immediatamente difendere la concezione democratica del rispetto dei diritti civili e delle leggi internazionali, con una difesa più concreta dell’Ucraina e con l’impegno concreto di forzare i blocchi navali che impediscono l’esportazione del grano e che favoriscono la fame nel mondo. Questo può permettere di accrescere un prestigio un poco compromesso per le nazioni occidentali, specialmente con i paesi africani e sottrarli all’influenza russa e cinese, in modo da isolare progressivamente Mosca e Pechino.

Si complica la situazione diplomatica russa

La dichiarazione del ministro della difesa russo, relativa al contrasto del trasporto delle armi a favore dell’Ucraina, rischia di essere un ulteriore elemento in grado di elevare la tensione tra Mosca e Bruxelles. Il massimo esponente del dicastero della difesa di Mosca ha espressamente dichiarato che ogni mezzo dell’Alleanza Atlantica che trasporterà armi e munizioni per l’esercito ucraino, sarà distrutto; i convogli che arriveranno nel paese ucraino trasportando armamenti saranno considerati obiettivi legittimi. Queste affermazioni, pur non rappresentando una novità, perché alcuni convogli sarebbero già stati colpiti, sono molto gravi perché rivolte direttamente all’Alleanza Atlantica, che non può reagire passivamente alla minaccia di essere diventata un bersaglio esplicito. Per il momento siamo ancora alla fase delle minacce, che, in un certo senso, è una situazione politica, seppure al limite; molto diverso potrebbe essere il caso di un convoglio dell’Alleanza Atlantica colpito dai russi, soprattutto dopo queste minacce. Certamente non è da prefigurare una rinuncia di Bruxelles alle forniture di armi a Kiev, anche in ragione dei sostanziosi stanziamenti già previsti da Biden ed, insieme, non si può certo pensare ad eventuali rappresaglie, nel caso un convoglio venga colpito. Con la situazione attuale l’eventuale rappresaglia sarebbe demandata allo stesso esercito ucraino e non eseguita direttamente dalle forze dell’Alleanza Atlantica, tuttavia è facile individuare, da parte di Mosca, occasioni per minacciare membri della NATO, che confinano con l’Ucraina ed aumentare le possibilità di uno scontro capace di scatenare il terzo conflitto mondiale. Mosca, peraltro, ha già più volte minacciato Polonia, Romania, Bulgaria ed i paesi baltici perché ospitano basi militari americane e la ricerca strumentale di un incidente sarebbe una mossa funzionale per proclamarsi paese aggredito. Nel frattempo Helsinki ha nuovamente denunciato un episodio di sconfinamento di un velivolo militare russo, che si è addentrato nel territorio finlandese per almeno cinque chilometri; questa violazione del confine, rappresenta il secondo episodio in poco meno di un mese e mira a minacciare lo stato nordico per la sua volontà di abbandonare il suo status di paese neutrale per entrare nell’Alleanza Atlantica. Come si vede, anche su questo fronte Mosca è sempre vicino a creare un incidente in grado di fare precipitare lo stato attuale delle cose verso conseguenze ancora più gravi. La tattica russa, probabilmente rientra in un tentativo di logoramento, che pare un calcolo sbagliato, come quello che la NATO e l’Unione Europea si sarebbero divise e che ha portato il paese russo a diventare una sorta di paria internazionale.  Dal punto di vista diplomatico si moltiplicano le azioni e le dichiarazioni contro l’aggressione di Mosca: il primo ministro portoghese, annunciando una sua visita a Kiev, ha richiesto una maggiore capacità di reazione all’Unione Europea, soprattutto sul tema delle emergenze che riguardano il popolo ucraino, ma anche per il sostegno finanziario e militare, anche in maniera indipendente dal processo di adesione all’Unione. Durante la visita del primo ministro giapponese a Roma, Giappone ed Italia hanno ribadito la necessità della difesa dell’ordine mondiale, basato sulle regole del diritto internazionale, una implicita condanna per Mosca, ma anche un avvertimento per la Cina, perché le regole internazionali devono valere anche per le questioni marittime, alle quali Tokyo è particolarmente sensibile per le violazioni di Pechino nel mare limitrofo. Il timore del Giappone e di altri soggetti internazionali, è che la violazione del diritto internazionale perpetrata dalla Russia, costituisca un esempio per risolvere altre questioni internazionali con l’utilizzo del mezzo militare, anziché con la diplomazia. Mosca ha violato una consuetudine che potrebbe essere ancora infranta con modalità analoghe ed è un compito della comunità internazionale impegnarsi affinché ciò non si ripeta; questo tema sarà centrale per molto tempo e dovrà riguardare anche una necessaria revisione del funzionamento delle Nazioni Unite, troppo condizionate dai veti dei membri permanenti; un analogo problema che riguarda l’Unione Europea vincolata alla regola dell’unanimità nelle decisioni dei provvedimenti. Il tema delle decisioni degli organismi sovranazionali diventa sempre più centrale nel contrasto di azioni di paesi dove la democrazia è poca o nulla e l’autoritarismo ha il vantaggio della velocità delle decisioni.

Mosca non vuole cedere su Crimea e Donbass e minaccia la Moldavia

Allo stato attuale delle cose Mosca mette i suoi obiettivi come fattori essenziali al fine di eventuali trattative di pace: il Cremlino, infatti, non intende recedere sull’acquisizione della sovranità, e quindi del relativo riconoscimento ufficiale, di Donbass e Crimea come appartenenti materialmente e formalmente alla Federazione Russa; nonostante ciò le, seppur difficili, trattative con Kiev sembrano continuare, anche se su premesse che non forniscono alcuna garanzia. Da parte dell’Ucraina e della comunità internazionale occidentale un cedimento su questi temi, anche se giustificato con lo scopo di terminare il conflitto, fornirebbe a Putin una sorta di prova di debolezza, con l’aggravante che le promesse russe potrebbero essere facilmente disattese. Resta da valutare come può proseguire il confronto militare, dopo che esiste la concreta possibilità che vi sia un allargamento ad Ovest del confine ucraino, con il coinvolgimento della Transnistria, enclave russa tra Moldavia ed il paese ucraino, che potrebbe venire assimilato da Putin alla stregua di Donbass e Crimea. Alzare la tensione è una sorta di diversivo politico di Mosca, che patisce l’aiuto in armi a Kiev, perché consente alle forze ucraine una difesa sempre più efficace; il ministro degli esteri russo ha esplicitamente accusato l’Alleanza Atlantica di essere già in guerra con Mosca, proprio in ragione delle forniture di equipaggiamento militare; il ragionamento è che una terza guerra mondiale rappresenta molto più di una eventualità, ma che sta diventando una possibilità concreta, soprattutto dopo le affermazioni provenienti dal Regno Unito, che ha sostenuto la legittimità di un attacco contro la Russia. Il rischio di una escalation nucleare è possibile, ma Mosca ha espresso il concetto che una guerra atomica è inaccettabile, essendo ben conscia di un risultato imprevedibile, tuttavia, gli ultimi lanci di razzi russi hanno colpito zone molto vicine a centrali nucleari ucraine ed un eventuale impatto con un reattore potrebbe scatenare conseguenze pari, almeno, all’impiego di ordigni nucleari tattici, cioè di corto raggio e minore potenziale distruttivo; sulle remore russe di utilizzare, in un modo o nell’altro, la forza atomica è bene non fidarsi troppo, soprattutto dopo i massacri perpetrati dai militari del Cremlino, in dispregio delle convenzioni internazionali e con armamenti  a loro volta vietati dagli stessi accordi. Kiev ha reagito alle minacce russe di una terza guerra mondiale, come il segno della debolezza di Mosca, che si aspettava una conquista rapida ed indolore del paese ucraino, senza reazioni da parte di Kiev e dell’occidente: al contrario Putin ha ottenuto di compattare gli alleati occidentali, di ridare valore ed importanza politica all’Alleanza Atlantica e coalizzare il paese ucraino nella difesa del proprio territorio. In realtà la lettura del governo ucraino appare condivisibile, perché mostra una difficoltà militare e politica dell’azione russa, che pare trovare difficoltà sempre nuove ad ogni livello, questa impressione, però, rafforza l’idea che Putin si sia messo in una via senza uscita e che ciò rischi di farlo diventare sempre più imprevedibile e pericoloso. La mossa di minacciare un allargamento del conflitto oltre la Transnistria, sino a coinvolgere la Moldavia appare già una conseguenza delle difficoltà del capo del Cremlino di uscire dall’attuale impasse. Del resto anche i tentativi del Segretario generale delle Nazioni Unite non hanno portato risultati, se non evidenziare la sua lentezza della reazione, dato che si è mosso ben dopo che la guerra è iniziata da due mesi; interrogarsi sulla reale utilità delle Nazioni Unite appare, ormai, superfluo: senza una adeguata e radicale riforma lo svuotamento delle competenze e degli effetti, anche solo potenziali, delle Nazioni Unite è un dato sicuro sulla scena internazionale, che determina l’assoluta inaffidabilità dell’ente sovranazionale, ormai orpello di mera facciata. Gli scarsi risultati dell’azione diplomatica, intanto, impediscono la creazione di corridoi umanitari per permettere ai civili di portarsi in salvo, ma dietro questo blocco c’è una precisa tattica russa, che intende usare la popolazione come ostaggio in modo funzionale alle proprie modalità di combattimento. Nel frattempo l’azione di Mosca si concentra sul bombardamento delle ferrovie, individuate come vettore principale del trasporto delle armi, creando, così, un ostacolo in più per la fuga dei civili.

L’Alleanza Atlantica destinata ad aumentare i suoi membri

Uno degli effetti indesiderati, ed inaspettati, per Putin causati dall’invasione dell’Ucraina è stato quello di ridare vitalità all’Alleanza Atlantica, che, durante la presidenza di Trump si avviava ad una conclusione ormai annunciata. La brutalità dell’opearzione militare speciale sommate ad evidenti cause geopolitiche hanno, invece, rafforzato l’unità dei membri dell’Alleanza Atlantica, fornendo all’organizzazione nuovo impulso e vigore. L’errore, prima tattico e poi strategico di Putin è stato il risultato di una analisi poco approfondita, che ha dimostrato la scarsità degli analisti internazionali russi. Si credeva che la divisione tra Europei al loro interno e tra europei e Stati Uniti, fossero ormai insanabili e per certi versi questa analisi aveva dei fondamenti validi ed aveva possibilità di avverarsi senza provocare alcuna situazione in grado di cambiare il corso delle cose. Nella valutazione di Putin, il capo del Cremlino ha giudicato come ininfluenti, su questa partita, gli effetti provocati dall’invasione di un paese straniero. Questa valutazione ha, però avuto gli effetti opposti e non si può dire che per la Russia non ci fossero le avvisaglie per internpretare la nuova situazione: l’agitazione dei paesi baltici e della Polonia, contro l’attivismo russo avrebbero dovuto bastare per una maggiore cautela per non sacrificare una situazione geopolitica, tutto sommato, non sfavorevole a fronte della conquista dell’Ucraina in aperta violazione del diritto internazionale; che, poi, il risultato militare sia fallimentare deve aumentare ancora di più le recriminazioni da parte del governo russo per essersi collocato in una situazione che, al momento, sembra senza via di uscita. Per quanto riguarda lo stato di salute dell’Alleanza Atlantica, che i russi volevano ai minimi termini, la situazione appare molto sfavorevole per Mosca. La possibile decisione di interrompere la loro neutralità da parte di Finlandia e Svezia, porterà la Russia ad aggiungere un nuovo lato della sua frontiera dove sarà presente l’Alleanza Atlantica, proprio una delle ragioni che ha provocato l’invasione del paese ucraino. Sebbene l’Ucraina è sempre stata considerata zona di influenza esclusiva dalla Russia e Svezia e Finlandia non rientrino in questa casistica, la neutralità dei due paesi è sempre stata considerata un fatto quasi dovuto, prima all’Unione Sovietica ed ora alla Russia di Putin; l’alterazione di questo stato di cose ha provocato irritazione e nervosismo al Cremlino, dove non si è esistato a minacce nucleari più o meno esplicite; la presenza di ordigni atomici tattici, cioè a raggio di azione ridotto, sui confini russi, è comunque risaputa e la comunità internazionale ne è consapevole, tuttavia la Russia non ha perso occasione per ribadire il suo potenziale nucleare; inoltre l’adesione all’Alleanza Atlantica imporrà a Mosca di schierare su quei confini quantità ingenti di truppe, innalzando il livello della tensione, così come incrementare le unità navali presenti nel golfo finlandese. Bisogna fare presente che i due stati nordici partecipano già alle riunioni dell’Alleanza Atlantica ed i loro militari effettuano esercitazioni con le truppe dell’Alleanza, insomma vi è già una collaborazione quantitativa, che deve essere solo sancita in maniera ufficiale. Le condizioni per entrare nell’Alleanza Atlantica sono già ampiamente soddisfatte dai sitemi politici dei due stati e si tratta soltanto di una decisione che riguarda la loro sovranità, anche se va detto, che Bruxelles potrebbe temporeggiare in questo momento per non esasperare una situazione già molto tesa con Mosca; tuttavia i due paesi nordici subiscono minacce russe già da circa un anno e dalla fine del 2021 le pressioni di Mosca si ripetono, puntuali per ogni settimana; si riteine che ciò abbia provocato una crescente opinione favorevole nelle società dei due paesi, che, pare,  ormai favorevole ad abbandonare la politica del non allienamento in maniera maggioritaria. Con Svezia e Finlandia i membri dell’Allenaza Atlnatica saliberebbero a 32 e la Russia vedrebbe più che raddoppiato il proprio confine con la presenza della NATO: un risultato raggiunto dalla capacità e dalla lungimiranza di Putin, grande statista e conoscitore dei meccanismi internazionali.

In Ucraina la Russia è bloccata dalla sua pessima gestione militare e politica

Nonostante il grande prezzo, purtroppo pagato in vite umane, che rappresenta l’aspetto più tragico del conflitto, l’avanzata russa procede a rilento e, in alcuni casi, è anche costretta a subire sconfitte che costringono reparti del Cremlino ad arretrare sul terreno. Questo provoca una tattica che coinvolge i civili ucraini come obiettivi funzionali ad indebolire la resistenza di Kiev, che, sul solo piano militare, cioè senza un teorico coinvolgimento dei civili, riuscirebbe a contenere lo sforzo russo, sebbene in evidente inferiorità numerica e di mezzi a disposizione. Questa modalità è stata sperimentata con successo in Siria, dove venivano colpiti deliberatamente obiettivi civili, come ospedali e scuole, per fare arretrare le forze contrarie ad Assad, qualunque fosse la loro natura, fossero le forze democratiche o lo Stato islamico; tuttavia lo schema, seppure ha delle similitudini, in Ucraina presenta differenze profonde: l’Ucraina è uno stato sovrano con un proprio esercito, coeso con la sua popolazione e non diviso come in Siria e gode dell’incondizionato appoggio politico dell’occidente, che, nonostante continui a non volere intervenire, rifornisce in modo continuo di armi e supporto logistico le forze armate di Kiev. Le congetture sulle convinzioni di una guerra breve di Putin, sono probabilmente veritiere, e le prove sono che gli armamenti pesanti schierati sono antiquati, il supporto logistico insufficiente, proprio perché non progettato e le truppe, spesso formate da militari di leva, non sono sufficientemente addestrate ed ancora meno preparate psicologicamente ad affrontare un conflitto bellico di tale intensità. Alcuni analisti giudicano anche che non sarà determinante l’impiego dei “volontari” siriani ed anche sull’apporto dei ceceni si nutrono considerevoli dubbi. In questo quadro la scelta dei bombardamenti indiscriminati, appare per Putin l’unica strada attualmente percorribile per non uscire sconfitto dal conflitto e con l’immagine interna irrimediabilmente rovinata. Per questo motivo la richiesta della zona di non sorvolo aereo del presidente Zelensky appare più che legittima, ma i paesi occidentali non ritengono ancora il momento per intervenire. Esiste il concreto pericolo dell’uso di armi chimiche da parte del Cremlino, sull’esperienza vincente effettuata in Siria, che costituirebbe il rinnovamento di un precedente molto pericoloso, che ha costituito il più grande fallimento politico di Obama e che, secondo molti osservatori, è stato l’inizio dell’attuale debolezza politica americana nel teatro mondiale. L’opzione dell’uso delle armi chimiche potrebbe anche costituire la considerazione da parte di Mosca di un eventuale uso del ricorso all’arma nucleare, peraltro già minacciata, fin dall’inizio del conflitto. Il pericolo di una escalation è concreto: la Russia è in evidente difficoltà nella sua “operazione militare”, si trova sull’orlo del fallimento finanziario ed è politicamente isolata sulla scena diplomatica, soprattutto dopo il sempre più cauto atteggiamento cinese sul conflitto, provocato dalle minacce di perdere l’accesso ai suoi mercati commerciale più redditizi: gli Usa e l’Europa. Queste considerazioni, se unite alle notizie, che la Russia alle attuali difficoltà logistiche, sembra andare incontro ad una ulteriore penuria di disponibilità di rifornimenti, sia per difficoltà pratiche sempre più evidenti, sia per un arsenale non infinito ed anche una situazione interna ai vertici del Cremlino, dove i maggiori collaboratori più vicini al presidente, sono stati oggetto di rimozione dalle loro cariche, proprio per la cattiva gestione della guerra, le possibilità di una azione diplomatica sembrano aumentare. Per la Russia, si stima che i prossimi dieci giorni saranno cruciali: se Mosca riuscirà a vincere il conflitto avrà raggiunto il suo obiettivo, viceversa per Putin potrebbero non esserci vie d’uscita e quindi il presidente russo potrebbe preferire una uscita onorevole tramite un accordo diplomatico. Questo eventuale accordo, però, passa da una tregua che fermi l’uso delle armi e consenta corridoi umanitari sicuri; questa eventualità, augurabile, è, però, contraria all’attuale modalità di combattimento dei militari russi, che usano i civili come obiettivo per raggiungere il successo. Al momento la situazione sembra senza una via d’uscita, ma la pressione internazionale ed alcune concessioni ucraine, potrebbero togliere ogni giustificazione alla Russia e consentire a Mosca una via d’uscita onorevole, onorevole al momento, perché la reputazione di Putin è irrimediabilmente rovinata, anche dall’inchiesta che la Corte di giustizia internazionale intende fare partire e che appare con una conclusione già scritta.     

La Cina vittima collaterale del conflitto ucraino

L’aggressione della nuova “Unione Sovietica” di Putin ai danni dell’Ucraina, che ha violato ogni regola del diritto internazionale, ha provocato un senso di confusione per Pechino, la cui preoccupazione principale resta la propria crescita economica, che, però, non può essere svincolata da uno stato di stabilità globale. Il primo risultato del Cremlino è stato quello di compattare il fronte occidentale ed ancora di più l’Unione Europea, che sta trovando, pur tra molte difficoltà, una unità di intenti quasi sconosciuta e non certamente prevedibile in tempi relativamente così brevi. Questo dato è il contrario di quanto sempre perseguito dai russi, dagli stessi cinesi ed anche dagli USA, perlomeno quelli guidati da Trump. Per tutti questi soggetti era prioritario operare per ottenere una divisione sempre più profonda tra gli stati europei in modo da trattare con le singole nazioni invece che con tutto il blocco dell’Unione. Per questo scopo questi attori internazionali, che temevano un nuovo soggetto di grandi proporzioni sulla scena globale con proprie capacità politiche ed anche militari e non solo economiche, hanno più volte messo in atto operazioni, anche illegali come attività informatiche illecite, finanziamenti a partiti e movimenti sovranisti locali ed una politica diplomatica intensa rivolta a sfruttare le divisioni degli stati dell’Unione. L’invasione criminale dell’Ucraina ha apparentemente superato ogni tentativo di divisione faticosamente perseguite, finendo per danneggiare per primi, oltre ai russi, proprio ai cinesi, che, d’ora in poi, dovranno adattarsi alla nuova situazione. Pechino, pur affermando la sua fedeltà a Mosca e denunciando, seppure in modo alternato, le colpe dell’Alleanza Atlantica, si è detta molto preoccupata per la situazione di guerra ed ha annunciato la propria volontà di fornire un contributo per la risoluzione della crisi. La maggiore preoccupazione espressa appare quella per le sanzioni economiche contro la Russia, che costituisce una aggravante alla situazione pandemica, per la ripresa economica globale. Occorre anche ricordare che la Cina era, prima dell’inizio del conflitto, il principale partner commerciale di Kiev, e non gradirebbe perdere questo primato, soprattutto se l’Ucraina, una volta finito il conflitto, andasse a gravitare nell’orbita di Bruxelles. I diplomatici cinesi si sforzano con una sorta di equidistanza, che afferma che l’integrità di ogni paese dovrebbe essere tutelata, così come le preoccupazioni di sicurezza di ogni nazione: questo atteggiamento fornisce la percezione di una politica presa alla sprovvista ed ancora indecisa su quale atteggiamento prendere in maniera definitiva. La vicinanza con la Russia non deve essere data per scontata, perché è troppa la distanza ed i rispettivi interessi non sono coincidenti, ma è solo funzionale contro gli Stati Uniti ed, in maniera minore l’Europa. Pechino non può, proprio per non compromettere i suoi piani di crescita economica, avviare nuovi contrasti con Washington, che potrebbero riflettersi sui rapporti commerciali con gli USA, così come non può andare contro l’Europa, che rappresenta il mercato più ricco dove fare arrivare i propri prodotti. Probabilmente dal punto di vista politico l’azione di Putin non dispiace ai cinesi, perché, malgrado le smentite, possono leggere analogie con Taiwan, ma al momento perfino questa questione sembra passare in secondo piano rispetto alla mancata ripartenza dell’economia globale. Una ulteriore preoccupazione per la Cina è la capacità espressa dall’Europa di elaborare strategie per sopperire in un futuro non troppo lontano alle forniture energetiche russe e la ritrovata sintonia con gli USA , che può costituire un punto di partenza per alleanze commerciali più strette, che determinerebbero una minore capacità di movimento commerciale cinese verso quelli che sono i mercati più ricchi del pianeta. Non si sa se nell’incontro tra Putin e Xi Jingping in occasione dell’inaugurazione delle recenti olimpiadi invernali, il leader russo avesse informato quello cinese, ma è sicuro che per gli sviluppi che la guerra ha provocato il risentimento cinese è elevato, anche se non può essere espresso. Studi e piani della Cina sono stati vanificati da una decisione folle che sta determinando per la Cina un futuro commerciale difficoltoso e, però, su questa ragione si può pensare che Pechino non trascurerà ogni sforzo per fermare un conflitto, che la vede come la maggiore vittima collaterale.

L’Italia da paese più danneggiato nei nuovi rapporti con la Russia a possibile protagonista nel caso di trattative diplomatiche

L’invasione russa dell’Ucraina cambia i rapporti internazionali di Mosca con i paesi europei; in particolare con Roma con la quale la Russia, malgrado il rispettivo schieramento su fronti opposti, è sempre stato contraddistinto da una buona intesa. Sono passati soltanto due anni dall’inizio della pandemia ed il convoglio dell’esercito russo con forniture mediche, con destinazione un centro del settentrione italiano tra i più colpiti, permetteva a Putin di raccogliere un ottimo risultato in termini di immagine. Ma questo è stato solo uno degli ultimi esempi di un rapporto basato sul pragmatismo italiano, basato sulla propria natura culturale e commerciale, che ha da sempre esercitato una forte capacità di attrazione nei confronti dei russi. Storicamente questo rapporto, perseguito seppure Roma è sempre stata una grande alleata di Washington, è stato mantenuto anche nella guerra fredda, con collaborazioni industriali e grazie alla presenza del più forte partito comunista occidentale. Più recentemente questi legami sono stati mantenuti anche dai governi a matrice progressista, capaci di ottenere forniture energetiche importanti ed aprire canali commerciali sempre più intensi nel genere del lusso, del turismo e dell’alimentare. Più recentemente i legami con Putin si sono sviluppati con i partiti sovranisti, anche per la strategia del presidente russo di volere dividere l’Unione Europea, tuttavia ciò non ha impedito un legame particolarmente importante con il governo in carica, dove, peraltro, partecipa il partito della Lega Nord, che da sempre ha legami stretti con il partito di Putin, circa ingenti forniture di gas russo. L’economia italiana dipende dal gas russo per circa il 45% del totale, che per ora sono assicurate, malgrado la decisione di Roma di affiancare l’Unione Europea e l’occidente nelle sanzioni contro il Cremlino. Nonostante i piani di riconversione verso una energia più pulita ed i contratti per nuove forniture di gas liquido proveniente dagli Stati Uniti, la preoccupazione nel tessuto sociale e produttivo è molto elevata. L’Italia oltre alle sanzioni economiche contro la Russia, si è impegnata in un programma molto vasto di forniture militari ai militari ucraini, che comprende missili antiaerei, missili anticarro, mitragliatrici di varia portata e munizioni, che potrebbero complicare di molto l’avanzata delle forze militari di Mosca. La combinazione tra la dipendenza dal gas russo con le forniture militari e le sanzioni potrebbero provocare un costo più alto per gli italiani, rispetto agli altri paesi componenti dell’Unione Europa. In realtà la posizione italiana non è stata da subito così netta, proprio per i timori dei vari comparti economici coinvolti nell’esportazione verso la Russia; la particolare sensibilità del governo in carica, guidato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea, verso l’economia ha fatto temere che Roma avrebbe potuto tenere un atteggiamento meno duro verso la Russia, in realtà lo spirito profondamente europeista ed atlantico della compagine governativa, ha permesso di superare questi ostacoli rappresentati dalla prospettiva di sicure perdite per l’economia nazionale. Per quanto riguarda le forniture di gas si tratta comunque di un rischio calcolato: l’Italia ha necessità del gas russo, ma la Russia ha ancora più necessità di venderlo, soprattutto dopo che è stata sottoposta al duro regime delle sanzioni, d’altra parte il comportamento di Putin ha avuto l’effetto positivo, ma non per la Russia, di compattare una Unione Europea, che ora risulta più unita che mai e che potrebbe dimostrarsi ancora più propensa a permettere elasticità di bilancio per chi si impegna nelle sanzioni e nella politica contro la Russia e nell’accoglienza dei profughi ucraini. I cardini dell’azione politica estera dell’Unione rimangono Parigi e Berlino, ma Roma arriva immediatamente dopo e per i pregressi rapporti con Mosca, potrebbe essere decisiva in una eventuale fase di negoziato per risolvere il conflitto, come, del resto, ha riconosciuto pubblicamente l’ambasciatore russo in Italia. La fermezza di Roma nel condannare, giustamente, la Russia non è, quindi, mai stata in discussione, ed anzi è rafforzata proprio dal volume di affari destinato a scendere per le casse italiane, tuttavia per il paese italiano potrebbe essere pronto un ruolo di primo piano se l’Unione vorrà impegnarsi in prima persona, pur essendo un protagonista di parte per l’appoggio fornito a Kiev, quando si dovrà finalmente passare la parola dalle armi al tavolo delle trattative.  

La possibile tattica russa e le potenziali risposte occidentali

Probabilmente l’impegno russo in Siria non era solo dettato da esigenze geopolitiche, come mantenere l’unica base di Mosca nel Mediterraneo, attraverso il mantenimento al potere di Assad, ma era anche una esercitazione preventiva per preparare l’azione militare in Ucraina. Certo le intenzioni e le aspettative di Putin erano di concludere in tempi brevi la riannessione di tutta l’Ucraina sotto l’influenza ex sovietica: una ripetizione del rapporto subordinato che la Bielorussia fornisce al Cremlino.; ed in effetti il piano è ancora quello: instaurare a Kiev un governo filorusso, che possa garantire che l’Ucraina mantenga l’assoluta distanza da Unione Europea ed Alleanza Atlantica. Malgrado però la soverchiante superiorità dell’apparato militare la Russia fatica, sul piano internazionale appare isolata e con prospettive economiche interne devastanti, i paesi europei ed occidentali si sono ricompattati, superando le reciproche differenze ed arrivando ad accogliere in maniera massiccia i profughi, disinnescando così le intenzioni del Cremlino di favorire i contrasti interni sull’immigrazione, anche se hanno avuto un tempo di reazione troppo elevato di fronte al rincorrersi degli eventi e perfino la Cina appare più cauta nell’appoggiare Putin, per non urtare la suscettibilità commerciale del mercato più ricco del mondo. Da parte loro gli ucraini, pur con tutte le difficoltà contingenti stanno opponendo una resistenza che la Russia non aveva previsto, anzi il Cremlino si attendeva per le sue truppe una accoglienza da liberatori. L’insieme di queste risposte dalle controparti, sommate alle evidenti valutazioni errate, se nell’immediato possono portare a valutazioni positive, non possono però impedire di analizzare quali saranno le possibili prossime mosse di Putin. Se si parte da una analisi dell’inquilino del Cremlino, risulta difficile pronosticare una via di uscita che si configuri come una confitta politica, cioè potrebbe anche non bastare un accordo che consenta alla Russia la cessione dei territori del Donbass ed anche della fascia costiera fino ad Odessa. Putin è stato chiaro non intende fermarsi, perché considera l’Ucraina parte della Russia e questa ammissione costituisce il suo programma finalmente esplicato in modo chiaro. La concessione dell’apertura dei corridoi umanitari per fare fuggire i civili apre scenari oltremodo inquietanti, che precludono, appunto, a ciò che è accaduto in Siria ed in particolar modo nelle battaglie per la conquista di Aleppo. Proprio in quella occasione, dopo l’abbandono della città della maggior parte dei suoi abitanti, i russi, una volta entrati diedero sfoggio di particolare violenza ed ora, forti di quella esperienza acquisita sul campo, il destino di Kiev appare quello. D’altra parte arrivare almeno fino alla conquista della capitale ucraina ha, per Putin, il significato della vittoria del conflitto, mentre per il resto dell’Ucraina, la parte verso occidente al confine con la Polonia, una operazione militare paragonabile a quella attuale è più difficile, ma per il Cremlino, probabilmente basterà arrestarsi a Kiev. Sull’occidente una eventuale conquista di Kiev da parte dei russi, oltretutto ottenuta con modi particolarmente efferati, potrebbe provocare una reazione di difficile previsione. L’avvicinarsi ai confini dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, del nemico russo, che oltretutto minaccia direttamente i paesi baltici e si oppone all’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia, oltre che nell’Unione Europea di Moldavia e Georgia, alzerebbe ulteriormente il livello dello scontro, che fino ad ora è stato limitato a sanzioni, seppure ingenti, ed a forniture militari per l’Ucraina. L’avvicinarsi del fronte verso la frontiera polacca e rumena avvicinerebbe sensibilmente l’inizio della terza guerra mondiale. Ormai è inutile recriminare sull’atteggiamento passivo di Unione Europea ed Alleanza Atlantica, che hanno perso otto anni in inutili discussioni, quando avrebbero potuto gestire differentemente la questione ucraina con soluzioni preventive in grado di contrastare i piani russi: ora è il momento di mettere in atto soluzioni in grado di contrastare Mosca, anche dal punto di vista militare e non solo politico. Certo ammettere subito Svezia e Finlandia dell’Alleanza Atlantica ed Ucraina, Moldavia e Georgia nell’Unione Europea costituirebbe una risposta politica equivalente ad un avvertimento chiaro a Mosca, ma senza una organizzazione militare ed una volontà di impegno diretto in casi come quello attuale lo spazio di manovra è limitato. Purtroppo è brutto dirlo ma l’opzione militare diventa sempre più una esigenza ed una eventualità più probabile.