Al Qaeda proclama

Al di là dei proclami di Al Zawahiri, che proclama come imminente la vittoria in Afghanistan, è chiaro che dal pantano dove si sono infilate le forze NATO sarà sempre più difficile uscire. La fase militare attuale è caratterizzata dalla situazione di stallo dovuta ai combattimenti che hanno come scenario il “cul de sac” delle valli più interne, dove il nemico è costituito dalle tribù più vicine agli integralisti di Al Qaeda, sono gli stessi avversari che hanno messo alle corde l’armata rossa; psicologicamente sono forti della padronanza del territorio e godono dell’appoggio della popolazione guadagnato in parte con il rispetto, in parte con la minaccia. Anche il Generale Petraeus, capo delle forze NATO, è scettico sull’ipotesi di un ritiro entro il 2011, come già programmato, il suo atteggiamento è più pragmatico ed è volto a ridurre le perdite civili, ben comprendendo che l’eventuale vittoria non può passare solo dall’azione militare ma anche dalla conquista della popolazione civile. Proprio su questo campo si apre la nuova offensiva di Al Qaeda che rivendica come determinante l’azione di aiuto portata ai fratelli islamici pakistani durante le recenti alluvioni, incolpando il governo centrale di furto relativamente agli aiuti internazionali. Diventa sempre più chiaro che l’investimento sempre maggiore dovrà riguardare non solo lo sforzo militare ma il corollario civile che permetta di guadagnare il sostegno della popolazione, e la sua costante difesa, oltre ai cannoni la parte essenziale deve riguardare sempre più le scuole, gli ospedali,  le infrastrutture in generale e la loro pubblicizzazione nel tessuto sociale afgano.

La direzione della Turchia

La vittoria dei SI nel referendum turco pone la questione all’ordine del giorno per l’Europa e per la scena internazionale. Le modifiche che verranno introdotte sono in gran parte in linea con i principi del diritto occidentale ed è buona cosa l’affrancarsi da una sempre incombente “tutela” di tipo militare, tuttavia esiste l’introduzione di una norma che porta sotto il controllo dell’esecutivo il potere giudiziario, tale norma, denuncia l’opposizione, potrebbe indirizzare le sentenze verso direzioni obbligate e con un partito islamico al potere la laicità del paese sarebbe in pericolo. A questo punto è lecito domandarsi se la Turchia è veramente più vicina all’Europa o se, se ne sia allontanata ulteriormente. E’ chiaro che il paese sarà ancora di più sotto la lente della UE ed i prossimi atti saranno determinanti per l’ingresso nell’unione. Ma intanto la Turchia, in campo economico si muove in modo vivace verso oriente, si è  infatti creata una sorta di economia ottomana, come è stata chiamata, che vede larghe intese commerciali di Ankara con Iran, Iraq e Siria, gli scambi coinvolgono ogni sorta di merce ed hanno dato alla Turchia un forte impulso alla propria crescita. Per l’europa potrebbe trattarsi di una porta su territori non ancora troppo battuti ma caratterizzati da una buona fase di sviluppo; ma tutto è in mano alla politica ed alla società turca, se manterranno una forte connotazione laica potranno ambire ad essere membri di quell’europa  che tanto desiderano.

Il problema curdo

Prima o poi il problema Kurdo riprenderà l’importanza che gli compete sulla scena internazionale, lo stato Curdo per ora non esiste anche se è rivendicato da tempo da una popolazione, che è a tutti gli effetti una nazione senza stato, che lotta anche con metodi non pacifici. Turchia, Siria, Iran ed Iraq, le nazioni che si dividono il territorio che potrebbe diventare il Kurdistan e sul quale vivono almeno 25 milioni di curdi difficilmente cederanno ai tentativi di vedere nascere un nuovo stato alle loro frontiere cedendo parte delle loro sovranità. Tuttavia con la fine del regime di Saddam, la regione curda iraqena ha guadagnato sempre più autonomia forte di una ricchezza derivante dal petrolio, la visione di questi curdi non è massimalista, sono consci delle difficoltà di creare uno stato totalmente indipendente e quindi optano per un’azione a medio-lungo raggio, anche perchè le carenze interne relative alla gestione el potere sono chiaramente un’ostacolo. Si tratta di una società ancora legata ad una gestione del potere di tipo feudale, basata sui clan e sul clientelismo, inoltre praticamente non esiste un tessuto industriale ed anche le infrastrutture sono carenti. Dati questi punti di partenza quello che si cerca è di aumentare il benessere della popolazione provata da anni di persecuzioni e di eleborare un nuovo proccio al potere cercando di scalfire l’arretrato sistema vigente. Per fare ciò l’intendimento è di organizzare una conferenza internazionale ad Erbil, capitale della zona iraqena, dove con i rappresentanti dei curdi degli altri stati venga presentata un’istanza alla comunità internazionale per la crezione pacifica di uno stato curdo. Quello che potenzialmente potrebbe nascere sarebe uno stato crocevia di importanza mondiale sopratutto per lo snodo energetico, sia produttivo che per il trasporto del greggio, ed in ottica di stabilizzazione politica della regione uno stato su cui puntare da parte delle Nazioni Unite che con proprie basi avrebbero accesso a veloce a potenziali focolai pericolosi per la pace. Questo a parte le legittime aspirazioni del popolo curdo, che dopo deceni di sofferenza, ambiscono legittimamente all’indipendenza sopratutto nella visione dell’autodeterminazione dei popoli. Sarebbe opportuno un’impegno immediato della diplomazia mondiale e delle organizzazioni internazionali per una preventiva soluzione del problema per evitare innanzitutto un nuovo scenario difficile che senza una soluzione perlomeno intravista potrebbe generare un problema in più alla già difficile situazione della regione.

Cosa farà l'Iran della bomba nucleare?

L’impennata della produzione di uranio in Iran accertata e dichiarata con dati ufficiali dall’agenzia internazionale per lo sviluppo atomico, organizzazione ONU, evidenzia la preoccupazione del mondo internazi0nale di fronte all’unica strada che pare possibile: la creazione di ordigno nucleare nella mani della teocrazia di Teheran. Se ciò è vero e se si arrivasse alla costruzione materiale della bomba atomica islamica, quali saranno gli scenari che si presenteranno una volta che Ahmadinejad avrà materialmente in mano la valigetta con i codici di lancio? Intenderà usare veramente il missile nuclare contro Israele trascinando il pianeta in una catastrofe? Oppure userà la minaccia pe rintraprendere un gioco di ricatti ugualmente pericoloso? Per prima cosa occorre chiedersi quale è il bisogno e la convenienza di diventare una potenza nucleare in questa fase storica. Quello che pare evidente è che l’Iran così come è messo in questo momento debba in qualche modo uscire dall’isolamento in cui si è gettato, non potendo cercare modi convenzionali per i paletti che la teocrazia si è autoimposta prova, mostrando i muscoli, a catalizzare tutti quei paesi, sopratutto arabi, ma non solo, che non rientrano, per i più svariati motivi sotto alcuna zona di aggregazione internazionale. E’ la risposta contro quello che una volta si chiamava imperialismo americano che con Israele resta il primo nemico, ma non unico, infatti anche l’Europa è sovente presa di mira. Quello che si prova a catalizzare è un blocco di paesi, tra l’altro produttore e fornitore di materie prime che possa fare pesare sulla bilancia oltre il potere economico anche quello militare, ma sono alleanze pericolose perchè eterogenee ed proprio su questo punto che la diplomazia internazionle deve dispiegare il proprio lavoro per isolare il regime iraniano affinchè resti sempre più nel proprio isolamento, ma la cosa più ardua sarà  sconfiggere il regime dal’interno dato che, nonostante le sommosse di piazza dovute solo ad elites più istruite, il grosso del popolo iraniano o almeno una parte considerevole sta con il dittatore.  

Il regime iraniano condannato da Mazen

La svolta dei governanti palestinesi nei rapporti con l’Iran è una chiara presa di posizione con molteplici implicazioni; dichiarare, come ha fatto, Mazen, che il governo è illegittimo in quanto eletto in una consultazione truccata, vuole dire, prima di tutto, prendere le distanze da un nemico di Israele, nonostante abbia perorato, a parole, più volte la causa palestinese, e nel contempo prendere le distanze da un amico dei gruppi estremisti arabi che non vogliono la pace. Non è cosa da poco, con questo passo si afferma la volontà che il processo di pace inaugurato i giorni scorsi vada avanti in modo chiaro, si dice cioè, che l’autorità palestinese, non intende prendere eventuali vantaggi derivanti da un possibile scontro Israele-Iran, è quindi una posizione chiara e leale verso l’interlocutore israeliano ed anche verso il promotore statunitense. L’Iran dal canto suo procede nella sua strada di isolamento, anche l’Egitto ha manifestato contrarietà al regime di Teheran cancellando una visita diplomatica prevista, ed anche il fatto di riproporsi come sede dei negoziati non è ben visto dall’Iran che imputa al paese dei faraoni il tradimento del popolo palestinese ed in un’ottica più ampia del popolo arabo.

L'Iraq lasciato solo

Il ritiro puntuale e come promesso da Obama dei soldati USA dall’Iraq pone dinanzi al mondo gravi scenari per la nascente democrazia di Bagdad. Quella lasciata da soldati USA è un’impresa fallita, un’abbozzo di democrazia, un parto malriuscito. La mossa di Obama è comprensibile, oltre la promessa elettorale, si è trovato ad affrontare una guerra non sua ne più del paese, tuttavia appare lo stesso pilatesca, l’Iraq attuale non è nemmeno definibile come democrazia incompiuta, invero la reale forma di stato presente nel paese non è neppure definibile, siamo in un paese dove le elezioni non hanno raggiunto il loro scopo di garantire una minima governabilità, un paese lacerato da guerre intestine di clan, un paese diviso dalla religione e sopratutto un paese arretrato dove non esiste alcuna classe dirigente nemmeno potenziale. Se il lavoro americano, e senz’altro per l’amministrazione Bush lo era, doveva essere l’eliminazione di Saddam Hussein, allora la missione è stata compiuta, ma se si doveva esportare democrazia, come più volte proclamato, allora il fallimento è totale.  Intanto è da chiedersi se gli iraqeni erano pronti ad un processo così sconvolgente del loro modo di vita, vista la situazione sociale presente nel paese, il processo non è stato graduale, la popolazione è stata tenuta per troppo tempo in uno stato di arretratezza e la mancanza di strutture adeguate ha fatto il resto. D’altra parte lo sforzo anche economico, oltre che di vite umane, non era più sostenibile in un quadro mondiale di depressione, tuttavia quello che appare è che sia stato consumato un pasto gigantesco e che una volta finito si levi il disturbo.  La necessità ora è di ripensare tutta l’azione ed il modo di riaggiustare almeno la situazione, in quest’ottica è impossibile non pensare ad un ruolo più determinante da parte delle organizzazioni internazionali che devono guidare ed indirizzare il processo troncato dael reitnro USA.

Rimpiangere la guerra fredda?

La questione nucleare in Iran, ma non solo anche in Pakistan, India ed Israele continuerà a tenere il mondo con il fiato sospeso, anche se alla notizia non viene data abbastanza enfasi. Nessuno avrebbe pensato di rimpiangere i tempi della guerra fredda: situazione di stallo continuamente bloccata ma con parti certe e governi sicuri nei due schieramenti. Ora, invece, siamo in presenza di regimi poco stabili con una forte opposizione interna, inoltre nel caso del Pakistan abbiamo una nazione prostrata da una catastrofe metereologica che ne determina un facile luogo di coltura di terroristi. E’ vero che si tratta di arsenali in divenire, non siamo ancora alla contrapposizione delle due superpotenze degli anni 70 e 80, ma la rincorsa al nucleare da parte di questi paesi è un fatto ormai acclarato. La questione iraniana è quella sotto la lente di ingrandimento:  stime americane ritengono che la teocrazia di Teheran raggiungerà la tecnologia necessaria in tre anni e di conseguenza gli USA intendono usare questo tempo per dissuadere  Ahmadinejad all’opzione nucleare (o a sperare che il suo regime finisca), questa ipotesi non basta ad Israele che teme di essere il principale bersaglio dell’escalation nucleare ed ha già pronto un piano militare preventivo contro i siti nucleari iraniani. Non basta, nell’area Araba del petrolio l’innalzarsi della tensione che potrebbe sfociare in una guerra locale non è ben visto: paesi come gli Emirati Arabi Uniti non vedono di buon occhio una guerra che gli obbligherebbe a schierarsi contro Israele e quindi di fatto contro gli USA e preferirebbero una soluzione preventiva, da non trascurare anche l’aspetto energetico che un possibile conflitto potrebbe dare alle dinamiche dei prezzi del greggio, considerando la capacità produttiva iraniana coinvolta. Si rischia un effetto domino di portata planetaria capace di sovvertire l’attuale ordine mondiale, ora come non mai il lavoro delle diplomazie sarà essenziale.

Afghanistan, Al Qaeda e l'impasse occidentale

Mentre la guerra in Afghanistan la guerra ristagna pare ormai doveroso chiedersi con chi l’occidente sta combattendo? Il nemico appare multiforme e sfuggente e come giustamente ha detto Chomsky non ha volto ne capi: siamo cioè alla ripetizione delle tattiche di guerriglia applicate alla tecnologia odierna con però delle variazioni sostanziali sul giudizio degli avversari; anche il paragone con il Vietnam appare ormai datato, in quel conflitto la dualità USA-Vietcong era chiara, veniva anche letta come guerra imperialista tanto da guadagnare simpatie per gli invasi anche in occidente, c’erano, cioè, ruoli ben definti (anche se i risultati militari erano sostanzialmente gli stessi). Ora è difficile anche da parte dei più antiamericani che sia presente un sostegno verso i Talebani, peraltro negazione di qualsiasi diritto umano, semmai sono presenti posizioni contro la guerra ma quasi nessuno in occidente riconosce dignità morale ai combattenti contro l’alleanza occidentale, ciò ha determinato la mancata comprensione del fenomeno e la mancata lettura sociale del territorio. E questo è il grande errore, in cui incorse anche l’URSS, che ha generato la situazione di stallo ed è quello che ha causato, inizialmente la sola azione militare che avrebbe dovuto essere rapida ed risolutiva, mentre si privilegiava la battaglia sul campo non si investiva in intelligence e non si penetrava in quel tessuto sociale così permeato dalla cultura talebana. Poi si è corsi ai ripari, ma, a parte il prezzo pagato in vite umane ed investimenti economici (che forse convenivano a qualcuno) il gap da coprire era e rimane enorme; così ora si trovano intere fette di territorio che di fatto costituiscono enclavi talebane difficili da penetrare e riconvertire in modo pacifico favorendo l’azione occidentale. In questo quadro l’azione di Al Qaeda è risultata facile: grande disposizione di risorse economiche ed enormi capacità motivazionali nell’indirizzare masse analfabeti e poverissime, la scelta dell’Afghanistan da parte dei dirigenti qaeddisti è stata dovuta ad un mix di condizioni presenti sul territorio: popolazione poverissima e facilmente assoggettabile alle idee estremiste, presenza di una elite estremista già affermata, i Talebani, con la quale stringere facilmente alleanza, il tutto su di un territorio fisico particolarmente favorevole ad un attore che deve nascondersi e muoversi in modo agile e veloce contro un colosso forte ma lento sopratutto nei tempi di azione.

Il crocevia del Pakistan

La catastrofe avvenuta in Pakistan pone diversi interrogativi che vanno aldilà della sciagura umanitaria più immediata. Assodato il problema degli aiuti che sono insufficienti per fronteggiare una simile sciagura, proprio questo problema apre la strada ad aiuti paralleli provenienti da organizzazioni terroristiche già molto attive nel paese.  Il Pakistan è già terra di coltura fertile per il terrorismo islamico, anche per l’atteggiamento non troppo chiaro rinfacciato al governo, e l’occasione attuale permette alle organizzazioni terroristiche di porsi come “organizzazione umanitaria” alternativa e penetrare nel tessuto sociale ancora più a fondo. La situazione è disperata il problema principale è assicurare i servizi essenziali ad una popolazione provata da più giorni dalle enormi piogge monsoniche che, oltre a sommergere interi villaggi, hanno allagato le coltivazioni di riso, principale alimento dei pakistani compromettendo seriamente il raccolto. Il Fondo Monetario Internazionale potrebbe concedere dilazioni circa i rimborsi dei prestiti in modo da girare tali somme su soluzioni più consistenti per la popolazione, ma ciò potrebbe non bastare,  senza un aiuto consistente dalle nazioni occidentali, che sarebbe anche un’investimento in termini di sicurezza (oltre che chiaramente un dovere), si spalancherrebbero le porte per un’enorme riserva dove pescare terroristi sempre nuovi.

PIL cinese al secondo posto

Secondo il calcolo del PIL quest’anno la Cina superera’ il Giappone ed all’ottavo posto, quello dietro l’Italia, incombe il Brasile che ha gia’ lasciato dietro Canada e Russia, nono e decimo posto, a loro volta incalzate dall’India.  Quella del PIL e’ una misura universalmente accettata che rappresenta la crescita economica di un paese, tuttavia, e’ ed e’ stata molto contestata dato che il valore misurato tiene conto del dato prettamente economico senza valutare come questi risultati sono stati conseguiti. In un’ottica di relazioni internazionali segnate dal tempo della globalizzazione queste misure andrebbero riviste e corrette, la performance della Cina e’ conseguita calpestando tutti gli elementari diritti riconosciuti ai lavoratori occidentali cio’ ha creato una concorrenza sleale che ha fatto pendere la bilancia a favore di Pechino innescando un cortocircuito economico sulla dislocazione della produzione: cio’ ha determinato, tra l’altro una perdita di capacita’ produttiva e di conoscenze (si pensi alla produzione dell’elettronica) e disinvestimenti notevoli  nei  paesi occidentali. Qualcuno potra’ rispondere “e’ il mercato bellezza…”, certo e’ che vedere al secondo posto del PIL mondiale un paese dove i diritti sindacali ed anche il giusto salario non e’ riconosciuto non puo’ non far preoccupare i paesi occidentali dove e’ impensabile (nonostante qualche tentativo) regredire ad una situazione ante prima guerra mondiale per competere con lo strapotere cinese, anche perche’ un popolo impoverito non e’ piu’ un buon cliente. Cosa fare per arginare l’avanzata cinese? Se da un lato il protezionismo sovente invocato non e’ mai stato attuato per timori di ritorsione una maggiore azione comune dei paesi occidentali sarebbe auspicabile, mettere qualche bastone tra le ruote all’importazione di quelle merci prodotte senza i necessari requisiti dovrebbe essere possibile, ma cio’ non basta occorre puntare sulla maggiore qualita’ che i  prodotti occidentali per ora mantengono e per fare cio’ l’unica strada percorribile e’ la ricerca unita ad una politica fiscale intelligente che favorisca le imprese che in assoluto non spostano la produzione nella nazione cinese.