Afghanistan: prove di exit strategy

La nuova linea della NATO in Afghanistan è la ricerca del dialogo con i Talebani, senza però rinunciare all’opzione militare. Si tratta di un primo passo avanti nel difficile processo di pacificazione nazionale che il nuovo corso che l’amministrazione Obama cerca di perseguire anche in funzione di un progressivo e possibile sganciamento dalla palude afghana. A facilitare la decisione di trattare con i Talebani è anche il nuovo atteggiamento della popolazione afghana, sempre più provata dal conflitto all’interno del proprio paese, infatti ad ogni livello sociale sta maturando il convincimento che i Talebani sono parte integrante del paese ed anche il loro punto di vista va considerato, anche nell’ottica di un governo democratico come ambisce ad essere la nuova nazione afghana. Certo mancando la sconfitta militare ed assodata la situazione di stallo la ricerca di soluzioni alternative più che una scelta è un bisogno, ma ammettere la necessità della ricerca del dialogo è comunque un passo avanti nella ricerca di una possibile soluzione definitiva. Militarmente, nonostante tutti gli sforzi compiuti ed il dispigo di mezzi ed investimenti profusi appare ormai impossibile conseguire il successo, d’altronde la storia è con i talebani, si sono dimostrati invicibili con l’esercito sovietico ed anche ora, con quello americano sono sostanzialmente in vantaggio. Nonostante questo la Nato non rinuncia all’opzione militare cercando, prima di arrivare ad una qualche forma di accordo, di infliggere più perdite possibili ai Talebani con lo scopo di farli arrivare alle trattative il più deboli possibile per assicurare a Karzai di trattare da migliori posizioni. La via della trattativa non è comunque facile, i Talebani non sono un blocco monolitico, vi sono differenze causate dall’appartenenza tribale ma sopratutto diversità di vedute causate dalle differenze di età: più concilianti i vecchi capi, tra cui reduci anche dalla prigionia di Guantanamo, più intransigenti le nuove leve perchè ancora più permeate dagli insegnamenti, sempre più estremisti, delle scuole coraniche, unica possibilità di formazione culturale in tutti questi anni. In questo quadro di difficile gestione la NATO e gli USA giocano la carta della ragionevolezza sperando di aprire  la porta della strategia di uscita.

Ahmadineyad e l'inutile provocazione

Mahmud Ahmadineyad si recherà domani in visita ufficiale in Libano ospitato dagli Hezbollah, questa visita ha il sapore di una provocazione non solo per gli israeliani, che sono paese confinante con la nazione dei cedri, ma per tutto il movimento mondiale che auspica la pace in medioriente. Quale implicazioni avrà sui rapporti internazionali questa visita e perchè si è scelto di effettuarla adesso? La politica estera iraniana non gode di buona salute, dai giorni degli scontri post elezioni la condanna unanime ha colpito il paese di Teheran e la disapprovazione è ulteriormente cresciuta con il caso di Sakineh, inoltre gli exploit all’ONU del capo di stato hanno contribuito ad un isolamento sempre più marcato. Certo la questione dei reattori nucleari, purtroppo più della  repressione del dissenso, aldilà delle naturali dichiarazioni, che non hanno generato praticamente alcuna ritorsione, è quella più temuta dai paesi occidentali per le ovvie e nefaste implicazioni ed è quella che ha generato un’impennata negativa delle relazioni diplomatiche. Il capo di stato iraniano deve quindi spingere sull’acceleratore delle amicizie internazionali di cui può disporre e ricercare la maggiore esposizione mediatica possibile. Con queste premesse una visita fin sotto il confine con Israele garantisce la massima visibilità possibile, certamente per la visuale occidentale è una visibilità negativa, ma per tutti quelli che avversano il processo di pace israelo-palestinese, perchè lo giudicano perlomeno sbilanciato a favore di Gerusalemme, per i Talebani e per tutti quelli che gli appoggiano, il significato ha senz’altro accezione positiva e permette ad  Ahmadineyad di continuare il suo processo per diventare il paladino antiamericano (e antisraeliano) dei nostri giorni. Perchè fare adesso la visita in Libano? Il processo di pace tra Palestina ed Israele accusa delle battute a vuoto, invero per la maggiore rigidità Israeliana più che per gli estremisti palestinesi, e presentarsi fin sotto il filo spinato che fa da divisione con il Libano può contribuire a fare salire la tensione tra le due parti fino a bloccare addirittura definitivamente le trattative. Alla fine il risultato che pare venga ricercato è fare salire la temperatura nella regione, creare motivi ulteriori di attrito per provocare qualcosa di veramente pericoloso per tutto il pianeta; la soluzione militare è contemplata da Israele e nonostante l’opera di dissuasione statunitense il precipitarsi degli avvenimenti può portare in quella direzione, mai come ora l’opera della diplomazia deve dispiegarsi e l’ONU deve assumere sulle proprie spalle l’onere di questa prova.

USA e Cina ed il Nobel per la pace.

L’assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiabao segna un nuovo capitolo nello scontro sotterraneo tra USA e Cina; è lampante che dietro la premiazione ci sia la mano statunitense che tenta in tutti i modi di screditare il più diretto concorrente economico ma anche politico; tramontato l’astro prima sovietico e poi russo, retrocesso da superpotenza a grande potenza, la corsa per la supremazia mondiale è ormai tra americani e cinesi. Certo i primi godono ancora della supremazia politica, ma i secondi forti e consapevoli della potenza economica stanno facendo passi avanti conquistando consensi in quelle aree del pianeta che prima erano iscritti al club dei non allineati, sono paesi possessori di materie prime vitali per il prosieguo dell’economia cinese. La strategia americana è di compattare il più possibile i paesi occidentali in un’alleanza non scritta contro la politica economica cinese, il primo passo di questa alleanza è stato la ricostituzione del G7 in un’ottica di contrasto al deprezzamento della valuta cinese. Un’altro aspetto, e qui entriamo nell’assegnazione del Nobel, è quello di rimarcare su scala mondiale il mancato rispetto dei diritti umani, da notare che la Repubblica Popolare Cinese non è più rappresentata come stato comunista, e ci mancherebbe, ma come regime capitalista (forse il sogno dei capitalisti), capace di mobilitare un’enorme forza lavoro a costo contenuto ma sopratutto senza le tutele ed il reticolo di leggi e protezioni che tutelano i lavoratori occidentali, facendo, però lievitare il costo della produzione. Siamo, cioè, davanti ad una globalizzazione sbilanciata che da un po di tempo presenta il conto ai paesi occidentali, gli USA e l’Europa devono contenere l’emorragia dei posti di lavoro, peraltro dovuta non solo al problema della delocalizzazione del lavoro, ed è normale, oltre che comprensibile, che si difendano alzando in ogni modo l’attenzione verso le politiche cinesi  e la speranza è che accendendo i riflettori sui casi più famosi ed eclatanti ci sia una ricaduta positiva anche nel riconsiderare una legislazione del lavoro troppo sfavorevole agli ultimi anelli della catena. Che poi questo sia vantaggioso oltre che dal punto di vista economico anche da quello della giustizia sociale e che realmente importi ad USA ed Europa è tutto un’altro discorso.

La Cina sempre più attiva nella UE

La Cina continua la sua politica di espansione economica in Europa, forte della propria grande capacità di liquidità il colosso di Pechino approffitta delle debolezze create dalla crisi finaziaria dei membri UE. Dopo avere acquistato titoli di stato spagnoli ora tocca a quelli greci, la difficoltà di Atene è nota: la situazione di crisi costringe la Grecia ad essere una facile preda di chi dispone di ingenti quantitativi di liquidità; per la Cina è un’ulteriore occasione per entrare dalla porta di servizio nella zona di influenza dell’euro, la strategia non è casuale, il dibattito che imperversa sulla svalutazione della moneta cinese impone a Pechino strategie alternative per la propria politica economica e la leva della rivalutazione va azionata piano per non compromettere l’alto tasso di esportabilità delle proprie merci. Insinuarsi fin dentro l’euro permette al dragone cinese di combattere la battaglia economica dal di dentro della moneta più forte manovrando discrete fette di debito pubblico nella valuta più apprezzata e nel contempo anche il rapporto con il dollaro viene influenzato indirettamente. Non basta, l’accordo con la Grecia prevede anche l’uso del porto del Pireo come server della marina mercantile cinese, un concreto punto d’appoggio gestito direttamente nel cuore dell’europa, che facilita ancora di più il movemento delle merci prodotte da Pechino, una soluzione logistica di primordine. Quindi dopo l’azione in Africa per accaparrasi le materie prime, che continua con accordi favoriti dalla povertà dei paesi africani oggetto di attenzione, ora, complice la crisi finaziaria, si agisce direttamente sul vecchio continente, continuando l’operazione di colonizzazione economica del mondo. Di fronte a questo sviluppo l’Unione Europea appare impreparata ed al solito divisa, la mancanza di una azione comune e condivisa non si è accusata mai come ora, tanto che pare ormai insufficiente anche una singola azione comunitaria ancorchè condotta con tutti i requisiti necessari, è ormai evidente la necessità di un accordo più stringente con gli USA per limitare l’espansionismo cinese, in questo quadro dovrebbero essere riconsiderate le politiche eccessivamente liberistiche fin qui adottate per considerare di intraprendere una qualche strategia protezionistica.

Guerra di aiuti in Pakistan: le alternative alle soluzioni militari

La UE annuncia che il finanziamentoper gli aiuti umanitari per il Pakistan ammonta a 150 milioni di euro; tale finanziamento, sollecitato dall’ONU per fronteggiare l’emergenza va aldilà del puro aiuto umanitario. Siamo in uno stato diviso in tre, la parte al confine dell’Afghanistan risulta praticamente sotto il controllo diretto dei Talebani, la parte mediana è sottoposta ad una sorta di regime misto, dove il conflitto tra forze regolari e ribelli è una costante, infine nella sola zona della capitale vi è una autorità assoluta del governo in carica. I recenti disastri naturali hanno fornito ad Al Qaeda una nuova strategia per aumentare il proprio consenso: mediante il proprio braccio umanitario, missioni organizzatissime fornite di personale medico, cucine da campo e sostanziosi aiuti umanitari, i qaeddisti  hanno operato fattivamente portando concreti aiuti alle popolazioni colpite dagli eventi atmosferici, chiaramente insieme agli aiuti è arrivata anche la propaganda, che ha avuto gioco facile in territori già profondamente influenzati dall’estremismo islamico. La nuova strategia è però anche il segnale della necessità del cambio dei metodi dei Talebani, probabilmente il lavoro voluto da Obama, incentrato non solo sull’azione militare, ma anche sulla ricerca del consenso sul territorio, deve avere dato i suoi frutti. In quest’ottica deve leggersi la ricerca di finanziamenti occidentali da indirizzare verso il Pakistan, l’azione sociale è giustamente vista come complementare all’azione militare, oramai non più sufficiente da sola. L’importanza strategica della posizione del paese confinante con l’Afghanistan è sempre più vista come determinante  per l’esito della guerra ed anche i recenti sconfinamenti delle truppe NATO sul suolo di Islamabad lo testimonia.

Il sud del mondo nuovo motore economico del pianeta

Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale annunciano l’avvento dei nuovi ricchi: infatti, secondo le recenti statistiche dei due enti, il motore economico del pianeta si sposta verso sud. Complice la recente crisi finanziaria che ha favorito la stagnazione economica dei paesi cosidetti ricchi sono sempre più i paesi emergenti ad interpretare il ruolo di locomotiva economica, sono loro a trainare il pianeta. Le cause che hanno generato la crescita economica sono un mix di fattori tecnologici, sociali e politici  infatti il progresso tecnologico giunto alla crescita numerica della classe media ha generato un circolo economico virtuoso tra produzione e consumi, politicamente, poi, si è cercato una maggiore integrazione tra i sud del mondo, favorita anche da politiche del credito in grado di sostenere la crescita infrastrutturale, volano essenziale per la produzione e la circolazione delle merci. E’ chiaro che questi aspetti genereranno ulteriore ricchezza favorendo una maggiore diffusione del benessere facendo intravedere l’inizio della fine della povertà nelle nazioni meno sviluppate. Si deve tenere presente che ci sono diversi aspetti da mitigare come le varie e pesanti differenze sia sociali che economiche presenti negli strati sociali di questi paesi, queste discrepanze favoriscono un mercato del lavoro eccessivamente deregolamentato che non tiene conto delle esigenze di sicurezza dei lavoratori e generano, in un quadro di mercato globale, fenomeni di concorrenza sleale verso la produzione di quei  paesi  dove le leggi sul lavoro sono molto più ferree. Un’altro aspetto riguarda la qualità della vita in relazione ai fenomeni di inquinamento favoriti dalle legislazioni vigenti nei paesi in via di sviluppo per favorire la spinta dell’industrializzazione; i governanti di questi paesi dovranno studiare metodi di allineamento agli standard occidentali per rendere migliore l’ambiente anche tenendo conto di una sempre maggiore integrazione della totalità degli stati mondiali; il fenomeno è ineludibile ma un governo sopra le parti che ne gestisca lo sviluppo potrebbe accelerare questo processo ed è in quest’ottica che deve auspicarsi un coinvolgimento più massiccio di organizzazioni come l’ONU, che potrebbero cogliere l’occasione per aumentare concretamente il proprio prestigio.

NATO e Pakistan ai ferri corti

Sale la tensione tra Pakistan e NATO, durante una azione contro ribelli afgani al confine con lo stato di Islamabad due elicotteri Apache avrebbero sconfinato  per colpire gli insorti frattanto riparati oltre la linea di demarcazione tra i due stati. Il Pakistan con questo incidente coglie l’occasione per rivendicare una azione coordinata con la NATO nell’azione militare contro i fondamentalisti islamici, ma tale richiesta non pare avere seguito, l’organizzazione di Bruxelles non ha mai mostrato eccessiva fiducia nel governo pakistano, preferendo tenerlo ai margini delle manovre; infatti le risposte alle proteste del ministro degli esteri pakistani sono state di circostanza, Bruxelles afferma di avere operato nel quadro del mandato affidato all’organizzazione atlantica, suscitando le ire del Pakistan che ha minacciato di passare alle vie di fatto nel caso di una ripetizione dell’evento. L’incidente ha in sostanza, dimostrato ancora una volta la scarsa fiducia di cui gode il Pakistan in seno alla NATO: con questo governo soltanto un paese tollerato.

Attacco informatico all'Iran

Stuxnet è il nome del virus informatico, un trojan horse, che ha messo sotto attacco il sistema informatico iraniano; ad essere colpite sono le principali industrie e società che gestiscono reti elettriche ed idriche. Il virus funziona scaricando i dati delle reti in cui si infiltra all’esterno, non solo può assumere il controllo della gestione di reti elettriche ed della gestione delle risorse idriche, in sostanza è capace di infiltrarsi nei settori essenziali della vita di tutti i giorni fino a mandare in tilt un’intero paese. Quella accaduta, seppure con tutte le smentite di rito, pare la prova generale di un possibile attacco ai reattori nucleari in via di costruzione in Iran, si tratta di un’opzione sia alternativa che complementare ad un possibile attacco militare, l’opzione più volte prevista da Israele per scongiurare la creazione della potenza atomica del regime iraniano. L’analisi del virus da parte delle maggiori industrie di sicurezza informatica pare escludere l’azione di un singolo hacker, l’elevata potenza di questo virus ne presuppone una creazione molto elaborata: il sospetto è che sia uno stato ad essere dietro a questo attacco informatico. Del resto l’uso massiccio dellapirateria informatica non è una cosa nuova, gli USA hanno accusato più volte la Cina di fare partire continuamente attacchi informatici verso industrie occidentali, ed anche nei paesi a regime dittatoriale l’applicazione di intrusioni elettroniche sono ormai divenute una prassi. Tutto questo ha generato un mercato sia civile che militare volto sia alla difesa che all’attacco delle reti informatiche, ormai imprescindibili fattori dello scacchiere diplomatico.

Il problema curdo

Prima o poi il problema Kurdo riprenderà l’importanza che gli compete sulla scena internazionale, lo stato Curdo per ora non esiste anche se è rivendicato da tempo da una popolazione, che è a tutti gli effetti una nazione senza stato, che lotta anche con metodi non pacifici. Turchia, Siria, Iran ed Iraq, le nazioni che si dividono il territorio che potrebbe diventare il Kurdistan e sul quale vivono almeno 25 milioni di curdi  difficilmente cederanno ai tentativi di vedere nascere un nuovo stato alle loro frontiere cedendo parte delle loro sovranità. Tuttavia con la fine del regime di Saddam, la regione curda iraqena ha guadagnato sempre più autonomia forte di una ricchezza derivante dal petrolio, la visione di questi curdi non è massimalista, sono consci delle difficoltà di creare uno stato totalmente indipendente e quindi optano per un’azione a medio-lungo raggio, anche perchè le carenze interne relative alla gestione el potere sono chiaramente un’ostacolo. Si tratta di una società ancora legata ad una gestione del potere di tipo feudale, basata sui clan e sul clientelismo, inoltre praticamente non esiste un tessuto industriale ed anche le infrastrutture sono carenti. Dati questi punti di partenza   quello che si cerca è di aumentare il benessere della popolazione provata da anni di persecuzioni e di eleborare un nuovo proccio al potere cercando di scalfire l’arretrato sistema vigente. Per fare ciò l’intendimento è di organizzare una  conferenza internazionale ad Erbil, capitale della zona iraqena, dove con i rappresentanti dei curdi degli altri stati venga presentata un’istanza alla comunità internazionale per la crezione pacifica di uno stato curdo. Quello che potenzialmente potrebbe nascere sarebe uno stato crocevia di importanza mondiale sopratutto per lo snodo energetico, sia produttivo che per il trasporto del greggio, ed in ottica di stabilizzazione politica della regione  uno stato su cui puntare da parte delle Nazioni Unite che con proprie basi avrebbero accesso a veloce a potenziali focolai pericolosi per la pace.  Questo  a parte le legittime aspirazioni del popolo curdo, che dopo deceni di sofferenza nel quadro dell’autodeterminazione dei popoli

Iran, sale la tensione

Dopo l’attentato che provocò 12 morti a Teheran durante una sfilata militare, il ministro Moslehi ha chiaramente detto che la mano terrorista è stata armata dalle principali  potenze internazionali, intendendo con questa definizione Stati Uniti e Regno Unito, i paesi normalmente accusati di finanziare i gruppi di opposizione presenti nella repubblica islamica. Queste dichiarazioni fanno il paio con quelle del capo di stato iraniano che ha accusato dalla tribuna dell’ONU Netanyahu di essere un assassino, stravolgendo ogni protocollo dipolmatico. Si tratta di dichiarazioni concertate che vanno inquadrate nell’evoluzione che è stata presa dalla situazione internazionale, dove lo stato Iraniano appare sempre più isolato sul piano delle relazioni internazionali, sopratutto dopo le dichiarazioni di Fidel Castro, del presidente ANP e di quello egiziano che hanno sostanzialmente preso le distanze da Ahmadinhejad.  L’accusa è pesante, a niente è valso il messaggio di cordoglio della segretario di stato Clinton, che ha condannato l’attentato, il clima di accerchiamento in cui è maturata la strage a provocato  sostanzialmente la dura ed esplicita dichiarazione. Quanto ci possa essere di vero è impossibile dire, l’opposizione al regime iraniano è sicuramente finanziata se non direttamente da paesi avversi almeno da organizzazioni ad esso collegati, ed è in uno stato di esasperazione dopo i drammatici fatti seguiti alle proteste avvenute dopo le elezioni. Il regime, d’altro canto, sfrutta e sfrutterà ogni episodio per cavalcare gli scenari sia interni che esterni a suo favore in un quadro che comprende, non dimentichiamolo, la possibilità non certo velata di una guerra con Israele a causa della costruzione dei reattori atomici.