Per Schengen ammessa solo la Croazia, escluse Romania e Bulgaria

La conclusione dell’iter di adesione all’area di Schengen, iniziato nel 2016, termina un processo che è stato contraddistinto da crisi causate dall’attraversamento della via balcanica da oltre un milione di migranti. Il comportamento dei croati, particolarmente violento, ha provocato le critiche della Commissione europea, oltre che di numerose associazioni per i diritti umani. Zagabria deve controllare il secondo confine terrestre più esteso dell’Unione con mezzi limitati, ma questo non giustifica un approccio basato su metodi repressivi, che non giustificano, secondo ben otto organizzazioni non governative molto rilevanti, l’ammissione allo spazio di Schengen, inoltre viene condannata la scarsa sensibilità di Bruxelles per la protezione ed il rispetto dei diritti civili. L’ammissione all’area di Schengen dovrebbe portare benefici sostanziali nel campo del turismo e dei trasporti al paese croato e sarebbe auspicabile che la Commissione europea chiedesse espressamente, in cambio di queste facilitazioni un maggiore impegno nel campo della tutela dei diritti dei migranti ed anche una maggiore disponibilità verso l’accoglienza di quote di migranti, temi verso i quali Zagabria non si è mostrata troppo sensibile fino ad ora.  Se la Croazia ha ottenuto la tanto agognata ammissione a Schengen, Romania e Bulgaria risultano ancora bloccate da veti determinati da motivi funzionali ad altri stati e che sono influenzati da esclusivi interessi di parte, mascherati da ragioni di interessi superiori. La Presidentessa del parlamento europeo e la Commissaria per gli affari interni si sono pronunciate in maniera molto delusa sull’esclusione di Bucarest dall’area di Schengen, richiesta dal paese romeno da undici anni. I grandi responsabili del rifiuto stanno a Vienna e a L’Aja, anche se l’Olanda sembrava più propensa ad un parere favorevole, poi negato all’ultimo. La Romania pareva soddisfare i criteri per l’ammissione a Schengen, come era stato, effettivamente giudicato dalla Commissione ed anche dai deputati del parlamento europeo.  In realtà i veri motivi del rifiuto austriaco sarebbero economici, il governo di Vienna ha denunciato, già in passato, pressioni da parte delle autorità romene sulle aziende austriache ed anche la questione della compagnia di stato petrolifera di Bucarest, che appartiene alla compagnia austriaca è causa di tensione tra i due paesi. In realtà i motivi che sono stati presentati per giustificare il rifiuto di Vienna sono stati relativi ai migranti illegali presenti in Austria nel numero di 75.000, ina quantità dichiarata ingestibile; tuttavia i traffici migratori verso il paese austriaco arrivano per lo più da Croazia e d Ungheria, ma Romania e Bulgaria vengono incolpati per ragioni di politica interna, cioè per soddisfare l’elettorato di destra e per fare notare all’Unione che l’Austria ha molte più richieste di asilo di quante può sostenere. Ancora una volta, quindi, l’Austria si distingue per praticare una politica egoista, che rischia di compromettere i già precari equilibri della coesione europea, piegando gli interessi comunitari ai propri singoli tornaconto; così anche il veto alla Bulgaria, sempre responsabilità di austriaci ed olandesi, rischia di indirizzare il paese bulgaro verso posizioni sempre più vicine alla Russia. L’Olanda motiva il suo no per la mancanza delle condizioni minime del funzionamento dello stato di diritto, un difetto più volte rilevato e segnalato dagli olandesi, per cui l’opposizione all’ingresso della Bulgaria nell’area di Schengen, da parte di Amsterdam, era un fatto atteso; quasi inaspettato, al contrario, il veto proveniente dall’Austria, che ha associato le ragioni relative alle questioni migratorie valevoli per la Romania anche alla nazione bulgara. A questo rifiuto il governo di Sofia ha minacciato ritorsioni contro i due paesi, evidenziando, ancora una volta, come il meccanismo dell’unanimità sia oramai non solo superato ma evidentemente dannoso per la politica dell’Unione. Dal punto di vista strategico, la mancata ammissione della Bulgaria a Schengen, rappresenta un errore grossolano, perché avviene in un paese profondamente bloccato da una crisi istituzionale, dovuta al mancato accordo per la formazione del governo, fin dall’esito elettorale dello scorso ottobre, da parte delle forze di maggioranza filoccidentali e ciò non può che favorire le forze contro l’Unione Europea, che, nello stesso tempo, simpatizzano apertamente per Putin. Austria ed Olanda, quindi, con il rifiuto verso Bulgaria e Romania si assumono la responsabilità del rischio di fare diminuire le simpatie europee in territori contigui al conflitto: una conseguenza non valutata attentamente o soltanto superata da banali interessi di parte.  

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