Sebbene Pechino non si sia mai allontanata dalla retorica di “una sola Cina”, che considera Taiwan parte della propria nazione, i limiti ufficiosi delle acque territoriali e dello spazio aereo, fino ad ora erano stati più o meno rispettati in modo continuativo. L’occasione della visita non concordata della speaker della Camera americana, Nancy Pelosi, a Taipei ha scatenato la reazione della Cina, che ha intrapreso la simulazione dell’invasione dell’isola con esercitazioni che, è stato annunciato, proseguiranno in maniera regolare. L’uso volontario di proiettili veri aumenta il rischio di un incidente militare, che comprende la tattica volontaria di scatenare una reazione dalla parte delle forze di Taiwan, che fornirebbe a Pechino l’alibi per il tanto annunciato attacco. Nel frattempo le intenzioni cinesi sono sempre più evidenti, dato che l’annunciata fine del blocco militare dell’isola, protratto già per 72 ore e mai accaduto finora, è stato prolungato con ulteriori esercitazioni che rappresentano una dimostrazione di prova di forza e mettono in pericolo la pace in maniera consistente. La giustificazione cinese di queste esercitazioni, che, secondo Pechino, avvengono nel rispetto delle normative internazionali, risiedono nell’obiettivo di mettere sull’avviso chi nuoce alle mire di Pechino, in sostanza gli USA, ed intensificare le azioni contro quelli che sono considerati secessionisti. Le esercitazioni lambiscono il territorio della Corea del Sud ed alcuni missili cinesi sono entrati nella zona esclusiva del mare del Giappone, indirettamente l’intenzione è quella di intimidire gli alleati degli americani e dimostrare a Washington di non temere le forze armate statunitensi presenti nei paesi limitrofi alla Cina. Da parte di Tokyo ci sono state proteste ufficiali ed è stato coinvolto anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, in visita nella capitale giapponese; il pericolo di uno scontro nucleare è tornato concreto dopo decenni e la massima carica delle Nazioni Unite ha pubblicamente invitato gli stati che sono dotati dell’arma atomica ad astenersene dall’uso, per evitare una escalation nucleare. Anche Taiwan, però, ha condotto esercitazioni per la sua artiglieria, utilizzando armamenti fabbricati negli USA: ancora un fatto ulteriore che mette a rischio la pace nella regione per la possibilità che questi lanci possano colpire obiettivi di Pechino. Dal punto di vista diplomatico Pechino ha interrotto con Washington il dialogo comune sulla sicurezza, instaurato proprio per evitare incidenti militari, potenzialmente in grado di portare le due potenze al conflitto; secondo il ministero della Difesa cinese, questo fatto è la diretta conseguenza della condotta americana, che con la visita di Nancy Pelosi, ha contravvenuto ai patti tra i due paesi. In realtà la mossa americana è stata effettuata come un preciso calcolo politico, che testimonia la volontà di proteggere Taiwan da una invasione militare, che potrebbe avvicinarsi pericolosamente e che la Cina potrebbe intraprendere per l’impegno americano maggiormente concentrato sulla guerra ucraina: anche in questo caso potrebbe trattarsi di un calcolo pericoloso perché gli USA hanno più volte dichiarato, che in caso di invasione di Taiwan l’impegno militare di Washington sarà diretto, al contrario di quello verso Kiev, che si è limitato a forniture, anche ingenti, di armamenti. La Casa Bianca, per il momento, continua a non riconoscere ufficialmente Taiwan, anche se la visita della Speaker della Camera è un riconoscimento implicito, così come, per ora, non ha ancora messo in dubbio il principio cinese di una sola nazione, comprendente anche Taiwan; tuttavia un riconoscimento formale potrebbe essere un argine diplomatico alle mire di Pechino, anche se esistono una serie di ragionamenti da fare circa le implicazioni economiche dei rapporti tra occidente ed oriente. Anche l’Europa dovrebbe assumere un ruolo più deciso sulla questione, anziché restare sempre nelle retrovie. Interrompere i commerci dalla Cina sarebbe una decisione certamente più svantaggiosa per Pechino, soprattutto in un momento come l’attuale dove al crescita economica è fortemente contratta; è chiaro che lo sforzo diplomatico dovrebbe essere enorme, specie se affiancato alla questione del conflitto ucraino, ma Bruxelles deve trovare il modo di recitare un ruolo da protagonista in questa vicenda, se vuole aumentare il suo peso politico a livello globale. E’ giunto il momento che l’invadenza cinese venga in qualche modo contenuta e la strada diplomatica ed economica è quella che appare più percorribile.