Dopo il caso afghano, l’Unione Europea ha bisogno di una propria forza militare autonoma

La caduta di Kabul, dovuta alla decisione unilaterale degli Stati Uniti di ritirarsi dal paese, decisione presa in maniera autonoma da Washington e non concordata con gli alleati, ha evidenziato lo squilibrio dei rapporti bilaterali tra USA ed Europa, con Bruxelles in evidente svantaggio e con uno stato di dipendenza sostanziale dalla Casa Bianca. Ciò pone seri interrogativi alle prospettive geopolitiche europee ed evidenzia, ancora una volta, la necessità di una forza militare autonoma europea. Nell’ultima riunione informale dei ministri degli esteri dell’Unione è stata valutata la creazione di un battaglione di intervento rapido, composto da circa 5.000 effettivi, in grado di intervenire con tempestività in eventuali teatri di crisi. Non si tratterebbe ancora di un esercito europeo, ma sarebbe un inizio verso una autonomia strategica, necessaria all’Europa per ricoprire un ruolo politico di primo piano nello scenario mondiale. Questa necessità è vista anche come un fattore aggregante tra i paesi europei, ma i paesi baltici e la Polonia, hanno sempre preferito l’organizzazione di difesa attraverso l’Alleanza Atlantica, organizzazione verso la quale, proprio per la preminenza degli USA al suo interno, diversi paesi europei hanno iniziato ad essere diffidenti. Anche se non si tratta di uscire dall’Alleanza Atlantica è stato preso atto che il suo spazio di manovra è sempre più limitato e funzionale agli interessi americani, più che di quelli collettivi; questa consapevolezza, che era già presente prima del ritiro unilaterale dall’Afghanistan e, soprattutto, per gli atteggiamenti di Trump, non è cambiata con Biden, dal quale si attendeva un cambiamento, che non è arrivato. Per superare le resistenze dei paesi scettici all’autonomia militare europea, che dovrà prevedere un impegno finanziario, il ministro degli esteri tedesco ha proposto di creare la forza di intervento rapido a maggioranza qualificata, superando la soglia dell’unanimità, con fornitura delle truppe soltanto da parte dei paesi volontari. La questione rischia così di essere l’ennesimo fattore divisivo tra europeisti convinti ed europeisti per convenienza e rappresenta un ulteriore fattore di riflessione sull’opportunità di continuare a tenere insieme nazioni che non condividono i presupposti europei e pone la concreta domanda sul senso della presenza di paesi scettici nei confronti dell’istituzione europea. Biden, sul quale erano riposte tante speranze da parte degli europei, seppure con modi differenti, sembra volere continuare, anche se in maniera attenuata, la politica di isolamento degli Stati Uniti e si rivela un partner meno affidabile del previsto: questa considerazione si associa ai temi urgenti che riguardano il terrorismo islamico presente ai confini europei, tanto in Asia, quanto in Africa. La necessità di combattere questo fenomeno, che dopo la presa dei talebani dell’Afghanistan è destinato ad un incremento, si scontra con la consapevolezza che gli europei saranno soli nella lotta ai radicali islamici per difendere la propria sicurezza. Per effettuare ciò occorre che l’Europa cambi atteggiamento verso se stessa, smettendo di considerarsi soltanto un aggregato finanziario dove il collante è solo il mercato, ma accetti di strutturare una propria politica estera slegata dall’interesse dei singoli stati, ma funzionale all’interesse generale; per fare ciò è necessario uno sforzo delle nazioni verso una cessione di quote di sovranità ed anche nuovi meccanismi di decisione, capaci di superare l’ormai assurda regola del voto all’unanimità. Come si vede, la decisione della creazione di una forza europea di intervento rapido, primo passo possibile verso l’esercito comune, investe una quantità ben maggiore e molto più importante di argomenti, in grado anche di potere variare l’attuale assetto. Potrebbe essere una prova per verificare chi realmente vuole impegnarsi nell’Europa unita e stanare i paesi pronti ad ottenere soltanto gli aspetti positivi, tra i quali quelli finanziari sono al primo posto; viceversa una rinuncia alla partecipazione dei paesi euroscettici potrebbe restringere l’estensione territoriale, ma permettere una migliore allocazione delle risorse e di piani e programmi maggiormente condivisi. Sembra arrivata l’ora di risolvere i contrasti, mai definiti, all’interno dell’Unione, soprattutto in relazione all’emergenza dettata dalla prevista rinascita del terrorismo, che avrà proprio l’Europa come uno degli obiettivi principali dei radicali islamici: di fronte a questa necessità di difesa sono necessarie decisioni veloci e condivise, che non possono comprendere inutili posizioni non concilianti con gli interessi sovranazionali; da qui si potrà l’Europa si potrà avviare verso l’avvio concreto del progetto di federazione europea.

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