Le ultime evoluzioni del conflitto libico

La guerra libica non accenna a fermarsi. Nonostante la proposta egiziana, da parte di un governo che è parte in causa del conflitto, di una tregua, i combattimenti continuano e la situazione attuale sembra essere favorevole alle forze di Favez al-Serraj e del governo di Tripoli. A perdere terreno è l’Esercito nazionale libico ed il suo leader Khalifa Haftar. In realtà il tentativo egiziano deve essere inquadrato nella logica del conflitto libico, che è diventato una sorta di guerra per procura, dietro la quale si celano interessi diversi ed anche superiori agli attori direttamente coinvolti. Al fianco di Tripoli si sono schierati la Turchia, sempre alla ricerca affannosa di creare una propria zona di influenza geopolitica ed il Qatar, che si muove per contrastare gli interessi dei suoi avversari nel Golfo Persico, mentre ad appoggiare l’Esercito nazionale libico ci sono Egitto, Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita. L’interesse principale de Il Cairo è quello di estendere la propria egemonia nella parte libica confinante con il paese egiziano; ma l’avanzata di Tripoli sta frustrando questa aspirazione ed il tentativo, fallito, di cercare una tregua con lo scopo di guadagnare tempo dimostra come le aspirazioni egiziane debbano essere ridimensionate. Quella libica promette di essere una disfatta anche per gli stati occidentali, soprattutto per l’Italia, che vedrebbero diminuita la loro influenza in una zona strategica del Mediterraneo, sia per le questioni energetiche, sia perché la Libia è la porta dove passano i maggiori flussi di immigrazione clandestina verso l’Europa, un potere potenzialmente molto elevato in ottica di ricatto e capace di condizionare i delicati equilibri in essere tra i paesi dell’Unione Europea. L’osservato speciale è la Turchia, che dopo avere fallito il progetto di Erdogan di ricreare la zona di influenza ottomana, ritenta ad assumere un ruolo primario nel Mediterraneo capace di dargli una rilevanza da media potenza regionale. Vista dalla visuale europea l’intraprendenza turca appare pericolosa, perché, prima di tutto se viene associata alla attuale logica americana di sganciamento dal Mediterraneo, Ankara avrebbe la possibilità di esercitare il suo ruolo senza il contrappeso di Washington. Occorre ricordare che l’azione politica e militare della Turchia è contraddistinta da un uso spregiudicato di fondamentalisti e radicali islamici, come si è visto in Siria; anche in Libia la presenza di queste formazioni paramilitari costituisce l’appoggio principale al governo di Tripoli, il che indica una via di dubbio valore per la sicurezza degli investimenti europei e per quanto riguarda la possibile gestione dei flussi migratori. Per ora ad essere sconfitte, oltre all’Esercito nazionale libico, sono anche le milizie militari sopravvissute alla caduta di Gheddafi, che hanno costituito la principale causa dell’instabilità libica. Ma per inquadrare meglio la situazione generale occorre considerare anche il ruolo di Usa e Russia; i primi, già con la presidenza Obama e poi con quella di Trump, che ne è stata la continuazione in una politica estera senza cambiamenti, hanno preferito concentrarsi sul contrasto alla Cina nelle regioni del Pacifico e soltanto un nuovo presidente potrebbe invertire questa tendenza ridando al Mediterraneo la sua importanza nello scacchiere mondiale. Mosca, d’altronde, ha dimostrato di volere riempire il vuoto lasciato dagli americani e continuare ad esercitare il suo ruolo nell’area mediterranea già iniziato con la politica attuata in Siria. Proprio sul terreno siriano si è rivelata l’affinità tra Mosca ed Ankara, favorita dalle similitudini di Putin ed Erdogan, che è pronta a replicarsi sul terreno libico con una spartizione delle aree di influenza, con lo scopo principale di estromettere le nazioni europee. Quindi, se gli USA hanno abbandonato volontariamente la sponda meridionale del Mediterraneo, non è stato così per gli europei, che con una politica non unitaria e caratterizzata dall’incapacità di una gestione pratica e politica dei fatti della Libia, saranno i veri sconfitti, anche se non i soli, come si è visto per Egitto, Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita, che dimostrandosi meno capaci della Turchia hanno rivelato la loro debolezza militare e strategica, replicando la sconfitta siriana. Tuttavia i paesi arabi avevano l’intento, come Ankara, di aumentare la loro influenza e non verranno scacciati da una zona da dove si erano insediati, seppure con alterne fortune, fino dalla fine della seconda guerra mondiale, come accadrà per gli europei. Il grande torto dell’Unione Europea è stato quello di non impegnarsi in prima persona, ma soltanto con iniziative estemporanee e poco efficaci e, soprattutto non riuscire ad avere un obiettivo condiviso e non comprendere che il presidio della sponda meridionale del Mediterraneo doveva essere un presidio da mantenere ad ogni costo per gantire la tutela continentale energetica e preservare l’Europa dal ricatto migratorio.