Pandemia, povertà e contrasto alla diseguaglianza

Gli effetti della pandemia non saranno soltanto quelli attuali, che sono ancora in corso e che sono prima di tutto di natura sanitaria. Con il solo abbassamento del contagio, non certo debellato, occorre però analizzare gli effetti, che già sono in corso, a livello economico, non solo di tipo locale ma con uno sguardo più vasto, di tipo macroeconomico. Uno degli effetti più pesanti previsti riguarda trenta milioni di persone, che vedrebbero la propria condizione peggiorare fino ad entrare nello stato di povertà estrema; questa stima, che riguarda soprattutto il continente africano, investe una moltitudine di conseguenze, che vanno ben aldilà del fondamentale aspetto morale. Una condizione così diffusa di povertà inquadrata nell’attuale contesto globalizzato non potrà non investire i flussi migratori, la maggiore facilità di reclutamento da parte di gruppi terroristici e le problematiche connesse al reperimento ed alla distribuzione delle risorse alimentari. Risulta chiaro che i paesi occidentali, specialmente quelli che si affacciano sul Mediterraneo, saranno presto sottoposti a pressioni più intense, che si rifletteranno sui rapporti tra gli stati e nelle dinamiche al loro interno; inoltre queste problematiche si sommeranno al calo del prodotto interno lordo che i paesi più ricchi stanno, peraltro già subendo. La previsione media riguarda una diminuzione circa del cinque per cento, ma per alcune nazioni questa diminuzione sarà ancora maggiore. Si capisce che le possibili conseguenze combinate dai fattori esterni ed esterni debbano essere affrontate con politiche capaci di procedere in modalità parallela e senza essere lasciate alla competenza dei singoli stati, che deve essere mitigata da organizzazioni sovranazionali, capaci di una maggiore capacità di manovra. Questo non vuole dire esautorare la sovranità dei singoli stati, che devono conservare le loro peculiarità, ma concentrare il maggior sforzo oneroso, in termini di organizzazione pratica, in organizzazioni più grandi, comunque controllate dalle singole nazioni. Il solo controllo sanitario, certamente essenziale, da solo non basta a scongiurare crisi economiche e quindi sociali; risulta essenziale la protezione dei posti di lavoro e dei redditi e quindi la capacità di spesa, specialmente a partire dai soggetti più deboli dell’insieme sociale. Questa considerazione investe a livello globale la necessità di contenere, in una prima fase, il fenomeno della diseguaglianza, per poi estendere le misure per cercare di attenuala il più possibile. Si tratta di uno sforzo enorme, che, purtroppo, non è condiviso a livello universale, sia da forze politiche, che da governi, ma che potrebbe avere effetti pratici sia dal punto di vista della politica interna, che di quella internazionale. Sul lungo periodo, cioè entro il 2030 le stime prevedono la possibilità di un aumento della povertà estrema per 130 milioni di persone, provocando uno stato di tensione sempre più alto, oltre che permanente. Secondo gli economisti delle Nazioni Unite misure di grande stimolo fiscale e monetario usate in maniera indiscriminata rischierebbero di essere deleterie, senza modalità di uso selettivo, capaci di contenere i fenomeni provocati dall’inflazione. Una iniezione di grande liquidità non orientata agli orientamenti produttivi rischierebbe di essere funzionale alla speculazione borsistica senza creare valore diffuso. Gli investimenti stanziati a seguito della pandemia devono essere orientati verso attività produttive capaci di creare lavoro e quindi reddito da redistribuire nella maniera più ampia possibile per permettere di attenuare gli effetti economici e sociale della crisi sanitaria. Ora questo è vero nelle società più evolute e complesse, ma ancora è più determinante nei paesi in via di sviluppo, che non deve vedere compressa quella tendenza economica di crescita che consente di aumentare i redditi medi pro capite, ancora troppo vicini ai redditi di sopravvivenza. Quello che è necessario comprendere è che oltre certi limiti non è più possibile comprimere i redditi dei paesi poveri, perché ciò provoca ricadute politiche in grado di compromettere equilibri già poco stabili, che si riflettono nella sfera economica e sociale globale. La pandemia, che tanti lutti e povertà ha portato sulla scena mondiale, deve essere anche una occasione per ripensare l’allocazione delle risorse globali in modo da favorire un piano complessivo di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale in grado di assicurare un livello di redistribuzione capace di intaccare le diseguaglianze, per investire nella ricerca di un livello minimo di ricchezza da assicurare per tutti.