I cristiani scappano dall'Iraq

Tragli effetti della guerra iraqena e dell’escalation di violenza nel paese diBagdad vi è la crescente intolleranza religiosa perpetrata ai danni della minoranza crisitiana. La dimensione dell’abbandono del paese ha assunto proporzioni di esodo a causa del grande numero di persone costrette ad abbandonare la propria nazione per la persecuzione degl integralisti islamici. A parte l’episodio più eclatante dell’attacco operato da Al Qaeda lo scorso 31 ottobre alla chiesa di Bagdad, la vita dei cristiani in Iraq è ogni giorno più difficile, paradossalmente erano più protetti con il sanguinario regime precedente.  Questo spaccato inquietante mostra come potrebbe essere, ed in parte è già, un paese sotto il potere della parte più integralista  di una religione, che cerca di imporre con la violenza la propria visione. Siamo in un laboratorio politico e sociale dove si vede un sviluppo futuro possibile del decorso storico. Il dovere degli stati, ma sopratutto delle organizzazioni sovranazionali è impedire che questa possibilità diventi realtà, l’azione delle sole organizzazioni umanitarie non basta ad imporre la via democratica, come non bastano le sole armi e forse non basta neanche l’azione congiunta senza un sostegno fattivo delle democrazie in termini di soldi, tempo ed intenzioni. Quello che è davanti è il pericolo di radicalizzare lo scontro di civiltà, di ritornare alla divisione tra crociati ed ottomani, senza favorire le parti meno estreme si impone soltanto la via della violenza e non quella del dialogo, un confronto continuo tra chi vuole collaborare con buone intenzioni è la sola via d’uscita.

La battaglia per i diritti sconosciuta in patria

Dopo la sedia vuota di Liu Xiaobo, un’altra sedia non è stata occupata, se non dalla bandiera cubana, infatti Guillermo Farinas non ha potuto ritirare il premio Sakharov 2010 per la libertà di pensiero, nonostante l le molte pressioni del presidente del Parlamento Europeo Buzek. Cuba ha trattenuto il dissidente bloccando il permesso di espatrio. I regimi assoluti sono sempre più messi in difficoltà dalle premiazioni di rilevanza internazionale che costituiscono una cassa di risonanza enorme e permettono di focalizzare le problematiche dei diritti umani sulle quali i governi e  le pubbliche opinioni dei paesi occidentali sono molto sensibili. Ma se all’esterno le situazioni sono conosciute, grazie alla grande pubblicità mediatica, all’interno dei paesi di origine dei premiati, quelli oggetto di critiche per la mancanza dei diritti, la pubblica opinione interna è tenuta pressochè all’oscuro. Molti cinesi non conoscono la vicenda del premio Nobel, proprio grazie a quei diritti che sono negati e per la cui denuncia vengono assegnati i premi riferiti alle battaglie dei diritti umani. La censura operata è feroce, il controllo delle fonti d’informazione provenienti dall’esterno è serrato, ma c’è anche un’azione più subdola, che i governi degli stati dittatoriali hanno imparato bene dal capitalismo: l’introduzione di un sempre maggiore livello di consumismo teso ad addormentare le coscienze. Non è un caso che Cuba abbia aperto da poco il proprio mercato ai beni di consumo una volta vietati e che la Cina sia ormai il paradiso dei centri commerciali. La popolazione reduce da anni di povertà e penuria è stata frastornata con un’invasione di prodotti, peraltro costruiti a prezzi insostenibili sul piano dei diritti, che ha sortito il sonno della ragione. La nuova condizione sociale associata al più stretto controllo statale si è così rivelata una miscela letale che non permette di prendere coscienza dell’azione dei pochi che si battono per i diritti di tutti.

Solo risposte comuni possono risolvere i problemi economici del mondo

La città di Buenos Aires è assediata da oltre 13.000 persone, che si sono accampate in un terreno coincidente con lo spazio del parco Indoamericano. Si tratta perlopiù di immigrati boliviani e paraguaiani che reclamano migliori condizioni di vita. Le dimostrazioni sono avvenute in coincidenza del progetto di urbanizzazione di uno spazio molto vasto ai confini della Città denominato “Villa Miseria”. Il progetto potrebbe essere una valvola di sfogo lavorativo per l’asfittica economia argentina. Questo è uno dei tanti casi di povertà presenti nel mondo che rischia di sfociare in disordini, anche gravi. La progressiva riduzione dei sistemi di welfare giunta ad una massa di immigrazione sempre più numerosa genera, in una congiuntura economica negativa, situazioni di sempre maggiore emergenza. Negli effetti della globalizzazione, arrivata troppo veloce per la scarsa elasticità dei sistemi economici e burocratici degli stati, non si sono presentati contrappesi di autoregolazione ma soltanto un flusso di stravolgimenti del sistema quo ante. Le crisi economiche, che si succedono, determinano sempre nuovi scenari a cui non si è preparati, pare di essere sempre un passo indietro allo svolgersi degli eventi. Occorre ripensare i modi di produzione e di consumo, rivedendo la corsa all’illusione consumista; interrompere la spirale che avvolge il sistema mondo in modo sempre più stretto. Ma se la globalizzazione è un fenomeno per definizione, appunto, globale, la risposta degli stati non può essere molteplice, occorrono soluzioni sempre più univoche che uniformino le modalità di affrontare i problemi. Chiaramente è utopico pretendere una sola ed unica risposta, perchè le differenze e le esigenze degli attori sono talmente tante e di genere diverso che risulta impossibile ottenere una singolarità economica e normativa conveniente alla totalità. Ma esistono oraganizzazioni sovrastatali che devono acquisire sempre più peso grazie alla contribuzione di idee e sostentamenti di un numero sempre più vasto di paesi. Ma è necessario anche il loro proprio impulso a favorirne la sempre maggiore importanza e peso specifico nello scenario politico ed economico. Si deve anche superare la logica dei blocchi perchè questa non esiste di fronte allo scenario dell’economia globale, una maggiore cooperazione può diffondere un maggiore benessere generale ed una maggiore attenzione allo sfruttamento delle risorse e dell’ambiente. Situazioni come quella di Buenos Aires è una delle tante spie che segnalano la necessità di cambiare modo di affrontare la questione.

La Corea del Sud inizia le esercitazioni per i civili

In un clima surreale di apprensione e paura la Corea del Sud ha iniziato le esercitazioni di difesa civile, preparatorie ad un eventuale attacco proveniente dalla parte Nord del paese. La decisione di effettuare le esercitazioni non solo ai militari ma anche ai civili è una spia dei sentimenti che albergano nelle coscienze dei governanti di Seoul, la minaccia di un conflitto è tenuta in grande considerazione e molto temuta dal paese, inoltre si temono le reazioni di Pyongyang anche alle continue pressioni provenienti dall’occidente per il problema atomica. La situazione tra le due Coree è di stasi, ma la tensione rimane alta lungo la frontiera e nelle sale diplomatiche; il lavorio sottotraccia di USA e Cina continua alacremente per scongiurare il conflitto, ma le difficoltà restano, sullo sfondo la situazione tra i due paesi non migliora anche perchè non vengono intrattenute relazioni diplomatiche dirette.

La UE contro i trafficanti di esseri umani

Importante decisione della UE, dopo il silenzio sul Nobel per la pace. La nuova direttiva è diretta contro i trafficanti di esseri umani, rafforzando la protezione delle vittime. I campi di applicazione della nuova norma, che dovrà essere recepita dalle legislazioni nazionali entro due anni, abbracciano una vasta gamma di reati connessi con la tratta delle persone, infatti mira a colpire l’industria del sesso, l’ambito del lavoro, che comprende un’ampia casistica che va dallo sfruttamento fino all’impiego forzato, la mendicità, il matrimonio illegale ed anche il commercio degli organi. La normativa era già da tempo allo studio, malignamente si può collegare la sua uscita all’assenza di prese di posizioni ufficiali sulla vicenda del Nobel, quasi un lavaggio delle coscienze; tuttavia la nuova direttiva è un passo avanti nel cristallizzare in modo normativo la concezione della protezione dell’essere umano, è mettere nero su bianco cose che dovrebbero essere scontate, piuttosto, quello che salta subito agli occhi è il ritardo con cui si è arrivati alla stesura del dettato normativo. Sarà interessante vedere come i singoli stati si rapporteranno al recepimento della norma, visto che la gran parte dei governi della UE è composta o appoggiata da partiti e movimenti che considerano tali diritti solo in base ad un diritto di cittadinanza limitato e  che sono chiusi rispetto all’esterno, hanno tendenze conservative su basi territoriali fino a fare del razzismo la loro bandiera; ci troviamo, insomma, di fronte ad una gamma molto estesa di visioni  di fronte allo straniero ed anche una legge che dovrebbe essere scontata a livello universale  potrà essere ostacolata grazie ad artifici parlamentari. Tra le conseguenze imprevedibili anche i rapporti  tra gli stati, si pensi al comportamento del governo libico con i migranti, la sanzione contri i trafficanti si potrà estendere anche a uomini delle istituzioni di paesi dittatoriali? Se si, quali saranno le implicazioni? Gli interessi toccati sono molti e le difficoltà non poche, ma la scrittura della norma è già un punto di partenza.

Birmania: nuovo socio del club nucleare?

La riduzione dei costi e la disponibilità tecnologica rischiano di favorire la proliferazione nucleare nel pianeta. L’ultima entrata nel club dell’atomica potrebbe essere la Birmania, dove, secondo fonti riservate USA, si sta lavorando per costruire un nuovo ordigno nucleare con il concorso di esperti nordcoreani e russi. La Birmania è retta da una giunta militare ed i diritti civili non sono rispettati tanto da sottoporre il paese  a sanzioni da parte di Stati Uniti ed Europa (che ha mantenuto gli aiuti umanitari). Sulla scena internazionale la Birmania è quasi sempre stata ai margini ed è salita alla ribalta per la vicenda del premio Nobel per la pace 1991 Aung San Suu Kyi relegata per anni agli arresti e liberata solo a Novembre di quest’anno. La creazione di una bomba atomica  può essere intesa come volontà di accreditarsi come potenza emergente, la nazione è ricca di materie prime come gas e petrolio ed ha avviato fruttuose collaborazioni economiche con Cina ed India, la sua posizione geografica con i suoi porti permette di essere una testa di ponte verso l’oceano indiano, un punto chiave per il trasporto delle merci. I due giganti economici competono direttamente per accapparrarsi le risorse birmane, ma la Cina appare in vantaggio per la grande liquidità immessa nel sistema birmano, consentendo la creazione di importanti infrastrutture; mentre la Russia ha commerci sostanziosi sul capitolo armamenti, per i quali gli stanziamenti della giunta sono notevoli. Per tutti questi motivi la preoccupazione degli USA è comprensibile, potrebbe trovarsi di fronte un paese avverso in una zona chiave del pianeta, dotato di un’arma di distruzione di massa, per di più alleato alla Corea del Nord. Il quadro generale pare influenzato dalla Cina, che sta materialmente dietro questi paesi, la strategia di Pechino cerca di aumentare sempre di più la propria sfera d’influenza nella regione asiatica, sia dal punto di vista politico che economico, le nazioni di questa zona sono considerate strategiche sia per le risorse che come mercato economico per la produzione e la vendita di beni, favorire un’atomica ulteriore nella regione significa mettere una barriera agli Stati Uniti, in un momento particolare  per il paese a stelle e strisce impegnato su più fronti. Questa debolezza causata dai troppi impegni sullo scacchiere internazionale favorisce manovre alternative agli avversari degli americani che mettono in campo strategie e minacce sempre nuove nella guerra per il predominio economico.

Nobel: l'Europa assente alla premiazione

Alla premiazione del Nobel per la pace c’erano delle assenze molto piu’ pesanti che quella del premiato. C’era un silenzio assordante e vile da parte delle democrazie europee, che con la loro assenza hanno di fatto avallato la dura repressione cinese sui diritti umani. E’ stata scritta una triste e vergognosa pagina per la lotta dei diritti fondamentali che ogni cittadino di questo mondo dovrebbe avere. Non andare a presenziare la premiazione del Nobel per la pace pare cancellare anni di discorsi e battaglie che il vecchio continente con la sua storia e le sue istituzioni ha portato avanti. Alla prova dei fatti e’ sembrato un castello di carta che e’ crollato alla prima minaccia economica. Mai come ora, in un momento economico cosi’ difficile, il gesto di andare contro alla superpotenza economica Cinese avrebbe avuto un significato particolare; invece aldila’ delle poche frasi di circostanza le istituzioni tutte del vecchio continente hanno preferito il silenzio complice alla manifestazione di solidarieta’ chiara e trasparente, unico sostegno tangibile per tutti quelli che lottano per le liberta’ fondamentali. Non sembra casuale che solo Obama, pressato dalle rivelazioni interessate di Wikileaks, che sembrano sempre di piu’ un disegno contro la sua amministrazione, ci abbia messo la faccia; la sua battaglia sara’ anche economica ma di fatto e’ l’unico che ha garantito l’appoggio alla battaglia dei diritti umani, alla fine il risultato e’ quello che conta. L’Europa, con il suo silenzio (che pare assenso) avra’ guadagnato qualche prebenda, ma mai come in questo caso il danno di immagine e credibilita’ che consegue all’atto sara’ una perdita difficilmente quantificabile in termini di credito morale. Cosa vuole dire avere taciuto? Il sistema cinese cocktail micidiale tra comunismo e capitalismo senza regole, le regole del libero mercato senza freni praticate in un contesto politico senza i contrappesi legislativi di garanzia, sembra il sogno di ogni capitano d’industria, e’ un sistema oltre ogni ideologia e’ soltanto puro sfruttamento che usa sopire le coscienze con il consumismo piu’ sfrenato. Non appoggiare fattivamente il Nobel per la pace significa incrementare l’erosione progressiva delle liberta’, che ora diamo per scontate, ma in un triste domani potrebbero non essere piu’ tali. Ancora una volta dobbiamo guardare all’America con speranza, ed e’ quasi un ossimoro: il paese capitalista per eccellenza che lotta contro un paese ancora piu’ capitalista.

Il giorno del Nobel

Ci sarà una sedia vuota nella sala della consegna del premio Nobel per la pace 2010, ne il dissidente cinese ne alcun membro della sua famiglia sarà presente per ritirare il premio. La Cina continua nella sua irritazione, dopo avere istituito, più per contrastare al suo interno la rilevanza del Nobel, che come attacco verso l’esterno, ilpremio Confucio, ha aumentato la stretta nei confronti dei dissidenti incrementando la pressione poliziesca ed il blocco dei siti internet di CNN e BBC. Le autorità presidiano i punti chiave di Pechino e pattugliano le vie adiacenti all’abitazione di Liu Xiaobo. La Cina presenta al suo interno  il premio Nobel come esaltazione dei valori occidentali, facendo leva sul sentimento nazionalista sempre presente nei cinesi; la manovra serve a screditare l’importanza del premio Nobel, che riporta alla ribalta il tema dei diritti umani all’interno del sistema capitalista e comunista cinese. Se al suo interno Pechino riesce comunque a gestire la situazione, seppure con qualche difficoltà, agli occhi del mondo la situazione è più problematica, più volte la comunità internazionale ha sollecitato alla Cina quelle prime riforme essenziali tali da garantire almeno l’applicazione dei più elementari diritti democratici. Se l’evoluzione economica, ottenuta a prezzi sociali molto rilevanti, ha garantito, perlomeno in alcune zone del paese, una crescita degli standard di vita, non è andata di pari passo l’evoluzione dei diritti, che anzi, proprio per la spinta economica basata sulla grande forza lavoro e sulle  condizioni lavorative molto pesanti, hanno subito talvolta addirittura una compressione. Siamo in un contesto politico e sociale cristallizzato da anni di dittatura comunista che il benessere ha solo attenuato per la concessione del consumismo, senza una crescita della massa popolare, dove soltanto una minima parte del gran numero di persone che compone la totalità della popolazione riesce ha comprendere la necessità di uno sviluppo democratico dello stato. Stiamo parlando del condizionamento di un numero enorme di persone, solo l’aiuto dell’opinione pubblica esterna può rompere il guscio protettivo costruito dal regime. Per questo motivo il premio Nobel ha così infastidito Pechino, la speranza è che apra una breccia nel vertice oltre che nella popolazione.

I difensori di Assange

Vladimir Putin si arruola tra i difensori di Assange, tacciando gli USA di non essere una democrazia, concetto che sa tanto di pensiero sovietico (di cui Putin era funzionario, KGB per la precisione); il fatto apre una riflessione più ampia sulla diffusione dei file e le ragioni di chi difende  Wikileaks in nome della libertà di stampa. Dato per scontato che la libertà di stampa è proprio uno dei capisaldi della democrazia (su cui Putin e  la Russia dovrebbero riflettere, sopratutto dopo i recenti casi di uccisione e pestaggi dei giornalisti), nel quadro più ampio delle relazioni internazionali si deve operare una riflessione con alcuni distinguo. Nella diffusione dei file riservati siamo in presenza di un’azione a senso unico contro gli Stati Uniti, non è una valutazione è un fatto concreto, l’unica diplomazia colpita è quella americana, non esistono file riservati analoghi di alcun altro paese che Wikileaks disveli. Se fossimo in presenza di una associazione che si muove con i principi con cui afferma di muoversi Wikileaks non pare dovrebbe esserci un solo paese sotto attacco, questa non è un’osservazione da poco, fornire una risposta concreta soltanto a questa riflessione chiarirebbe molte domande in un solo colpo. Frattanto Assange è diventato una sorta di paladino degli hacker, sui quali esercita giustamente il fascino del pirata informatico, piedistallo su cui è salito grazie ai media, che non hanno mai approfondito la questione in maniera appropriata. D’altro canto è comprensibile che i giornalisti si siano buttati a peso morto su questa quantità di dati, ma finito l’entusiasmo iniziale sono mancate le giuste riflessioni, si va avanti sulla cronaca e non si scava dietro la notizia; con l’arresto dell’australiano si spera di capire di più sulla strategia di Wikileaks.

La Cina entra ufficialmente nella disputa coreana

La diplomazia cinese si muove ufficialmente verso la Corea del Nord. Questo passo sancisce la fuoriuscita dall’immobilismo diplomatico ufficiale e l’interessamento alla crisi del Mar Giallo, mettendo in campo il capo della diplomazia di Pechino Dai Binnguo. In realtà i contatti tra la Cina e la Corea del Nord non si sono mai interrotti, ma sono rimasti nell’ambito della riservatezza e dell’ufficiosità. L’entrata in campo ufficiale è stata più volte sollecitata da Washington, che richiedeva aiuto al principale alleato della Nord Corea, affinchè premesse per per una soluzione pacifica e veloce della crisi delle due Coree. Pechino, per lavorando sottotraccia, ha nicchiato con un atteggiamento che sfiorava l’ambiguità, pur condannando l’escalation militare, non ha realmente preso parte ufficiale alla dissuasione dell’uso della forza. L’impressione americana è stata, probabilmente, che la politica cinese usasse questo nuovo fronte per mettere in difficoltà l’amministrazione di Obama, lesinando il suo intervento autorevole presso Pyongyang. Ora, con la mossa ufficiale di Pechino, sarà interessante vedere se l’intervento sarà limitato alla crisi attuale o se toccherà un orizzonte più ampio come il problema nucleare nordcoreano. Gli attori coinvolti oltre alla Cina ed agli USA, in qualità di superpotenze, sono le due Coree ma anche Giappone e Russia; la presenza di un’atomica nel sud est asiatico, in uno stato potenzialmente fuori dai blocchi e dal controllo, crea notevole apprensione nella regione, l’augurio è che da una situazione sfavorevole come è la tensione nel Mar Giallo si arrivi ad una trattativa sul disarmo nucleare nella regione.